Stavolta il tribunaletto ambulante dell’indignazione si è spostato nella camera ardente del Campidoglio, puntando il dito contro Maria De Filippi, vedova di Maurizio Costanzo.

È ritenuta colpevole di aver concesso un “selfie” a un suo giovane fan davanti alla bara del marito. E invece di mandarlo a quel paese, come avrebbe voluto il coro degli indignados, De Filippi ha ritenuto accettabile soddisfare quella richiesta. Si tratta di un gesto perfettamente congruo con la dimensione pubblica della conduttrice che è intrecciata in ogni sua fibra con la sua vita privata e nel “familismo” con cui, da oltre un quarto di secolo, coltiva il rapporto con la sua fanbase.

Intere generazioni sono nate in quell’immaginario, nella giostra di Amici e Uomini e donne, dove si muove un esercito di aspiranti star e starlette, bellimbusti, ballerini, cantanti neomelodici, fidanzati cornuti e di massaie dal robusto buon senso, una factory nazionalpopolare in servizio permanente, intrisa di giovanilismo e pubblicità (in senso etimologico).

In quel mondo un “selfie” con la vedova non suona come il titolo di un volgare cinepanettone ma è un gesto normale. Se il cosiddetto popolo del web lo ritiene un atto osceno, immorale, o si sente autorizzato nel mettere alla gogna lo sprovveduto fan come ha fatto la povera Rita Dalla Chiesa, o persino a sdottoreggiare su quanto “siamo caduti in basso” con le solite banalità sulla società dell’immagine e “la perdita dei valori” e bla, bla, bla, quello è un problema e una proiezione tutta sua.

Molto più violenta e sacrilega di un “selfie” però: è l’indignazione di un branco rapace e mitomane, che pretende di insegnare ai parenti del morto in che modo devono soffrire o possono esprimere il proprio dolore, che dà lezioni di morale a colpi di linciaggi. L’empatia verso Maria De Filippi e i familiari di Costanzo non c’entra davvero nulla, altrimenti avrebbero fatto quello che esigono dagli altri: rimanere zitti e buoni.