E se fosse un equivoco? Se il temuto radicalismo di sinistra di Elly Schlein fosse la proiezione (o la speranza) di chi spera di intercettare i famosi riformisti in fuga dal Pd? Fantasie? Può darsi: è infatti probabile che le scelte politiche di Schlein corrispondano esattamente all’immagine che ha dato di sé in questi mesi, al racconto che ha messo in campo per vincere le primarie: ovvero radical, pacifista e di “sinistra-sinistra”.

E se fosse così non potremmo aspettarci altro se non una deriva corbyniana del Pd che a quel punto sarà condannato all’irrilevanza politica. Se infatti quel modello ha funzionato dentro una competizione di partito, è chiaro che rischia di naufragare in mare aperto.

Se Schlein non vorrà limitarsi a una operazione nostalgia e piazzare sul Nazareno le bandierine rosse della sinistra novecentesca ma presentarsi come forza di governo, allora quel racconto che ha funzionato nei gazebo dovrà essere completamente rivisto e corretto. Anzi, rovesciato come un calzino.

Impossibile? Meno di quel che possa apparire. Proviamo a mettere in fila un paio di informazioni. La prima: il grande sponsor di Elly Schlein non è Fausto Bertinotti e non è neanche Beppe Grillo. Dietro la nuova segretaria del Pd si è mosso e continua a muoversi neanche troppo velatamente, un certo Romano Prodi, ovvero il fondatore del Pd, l’ex presidente della commissione europea e, prima ancora, grand commis dei governi democristiani. Dunque chi si aspetta svolte a sinistra in economia, è probabile che rimarrà assai deluso.

E vogliamo parlare di giustizia? Chi teme una deriva manettar-populista del nuovo Pd, forse non sa in quale brodo garantista è cresciuta la nuova segretaria. Laureata in giurisprudenza con una tesi in diritto Costituzionale, Schlein è anche la nipote di un certo Augusto Viviani, radicalissimo avvocato toscano che ha fatto della battaglia garantista una ragione di vita. Poi parlamentare socialista e membro laico del Csm in quota Forza Italia.

E infine parliamo della formazione politica di Schlein. Nata “dentro” Occupy-Pd, che non è esattamente un centro sociale occupato, Schlein ha mosso i primi passi in politica seguendo la campagna di un certo Barack Obama. Il quale, è vero, prese il Nobel per la pace ma un minuto dopo decise di inviare le truppe in Afghanistan.

Ora siamo tutti in attesa che Schlein dica una parola definitiva sul sostegno a Kiev. Sarà quello lo spartiacque tra una scelta riformista e il ritorno alla coperta di Linus del “pacifismo peloso” che sa tanto di indifferenza. Oppure può provare a esplorare una terza via. Quella del sostegno militare a Kiev accompagnato da una pratica volta a cercare una soluzione, una via d’uscita dal conflitto, magari nella strada indicata da Prodi qualche giorno fa. Ma questo potrà farlo solo quando avrà chiarito da che parte sta, pena “l’esilio” internazionale e il fallimento di quella missione. Che poi è ciò che in queste ore sperano in molti...