C’è un prima Cutro e un dopo Cutro. E il dopo, per la premier Giorgia Meloni, potrebbe essere una fardello molto pesante da portare. Per almeno due ragioni. La prima è meramente politica e riguarda i rapporti di forza all’interno della sua maggioranza, soprattutto nella relazione col leader leghista Matteo Salvini; la seconda, forse più importante, riguarda il consenso, il famigerato e ossessivo gradimento. La sensazione è che per la prima volta da quanto è a palazzo Chigi, Giorgia Meloni non abbia colto la reazione dolente degli italiani di fronte ai morti di Cutro.

Capace di creare uno specialissimo rapporto in grado di andare anche al di là del suo ristretto bacino elettorale - in fondo tutti le riconoscono la sua applicazione, la sua dedizione e l’impegno che mette nell’assumere una postura istituzionale -, stavolta Meloni ha mancato la connessione con gli italiani. Preoccupata di non lasciare spazio al “cattivismo” di Salvini, la premier non ha avuto la forza e il coraggio di abbracciare il dolore, e forse anche il senso di colpa, per quei morti adagiati sulle nostre spiagge, per quelle bare bianche ammassate nella chiesa calabrese di Cutro.

Un’ondata di dolore che ha invece colto (e accolto) in pieno il nostro Presidente della Repubblica il quale, poche ore dopo la strage, era lì a Cutro a rendere omaggio a quei morti in un rigorosissimo ma “rumorosissimo” silenzio.

Ora Meloni ha davanti a sé un bivio: tornare alla postura di una premier consapevole che la questione migranti non è certo il primo dei problemi, oppure ingaggiare battaglia con Salvini per il monopolio della linea della fermezza. Ma è davvero questo che le chiede il Paese?