La libertà di autodeterminazione di un detenuto in materia sanitaria prevale o può, nei casi di imminente pericolo di vita, essere compressa dalle Istituzioni che hanno in custodia il soggetto?

Questo il lodo della recente evoluzione sul cd. caso Cospito, sul quale lo scrivente ha già espresso in precedenza le proprie posizioni. Tema che - ad onor del vero - non si pone (né si è posto nel tempo) come questione meramente domestica ma, anzi, è stato attenzionato e approfondito già dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

In particolare, è notizia di pochi giorni fa, resa nota dal legale di Cospito, che lo stesso avrebbe avanzato – per il tramite del suo difensore – istanza al Tribunale di Sorveglianza di Milano per richiedere il differimento della pena (cioè del 41bis) agli arresti domiciliari, per motivi sanitari.

Tale richiesta, spiega il legale di Cospito, sarebbe giustificata da una ragione ben precisa: dal timore che, qualora le condizioni di Cospito si aggravassero ulteriormente ed irreparabilmente in carcere, i medici dell’Istituto di pena e – in generale – l’Amministrazione Penitenziaria, interverrebbero mediante un trattamento salvavita che il detenuto ha espressamente e categoricamente rifiutato in sede di formulazione di Disposizioni Anticipate di Trattamento (così come previsto e disciplinato dalla legge 219/ 17).

Si tratta, dunque, di comprendere se le DAT sottoscritte e manifestate da un detenuto possano, in casi eccezionali e di imminente pericolo di vita, essere violate dall’Istituto di pena che ha in custodia il detenuto. In altri termini, forse più brutali, se è consentito per le autorità penitenziarie, o per i medici, limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna.

Una questione, come intuibile, particolarmente delicata sulla quale, anzitempo, lo stesso Guardasigilli aveva richiesto un parere al Comitato Nazionale di Bioetica. Il Ministro Nordio, in particolare, ha interrogato il Comitato per sapere se le volontà contenute nelle DAT di rifiutare le cure/ trattamenti salvavita, espressione del libero consenso informato, possano subire limitazioni (o persino essere infrante) da parte delle Istituzioni quando il fine per cui sono state assunte e disposte non è tanto espressione dell’autodeterminazione del singolo mediante l’esercizio della libertà di cura quanto piuttosto quello ad una modifica di una condizione personale in relazione ad un contesto

estraneo a quello sanitario (nel caso di specie, il cd. regime di carcere duro, ex art. 41 bis o. p.). Ci si domanda, “avrebbe espresso ( ndr il detenuto) la medesima rinuncia in presenza del bene desiderato?”. E, ancora, “è eticamente accettabile che esse (ndr le istituzioni statali) consentano a chi mette in atto questi comportamenti di lasciarsi morire”?.

Nel comunicato dello scorso 6 marzo, il Comitato ha reso il suo parere. La maggioranza dei componenti del CNB, ha ritenuto che, nel caso di imminente pericolo di vita, quando, per via delle condizioni di salute, non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non sia esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita. Le DAT sarebbero incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della L. 219/ 2017. Altri componenti del CNB hanno ritenuto, invece, che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la disapplicazione della L. 219/ 2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le DAT e la pianificazione condivisa delle cure.

Appare condivisibile, in via di prima istanza, che per non vanificare il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto alla intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – uno Stato debba riconoscere, salvo diverse e nuove indicazioni del Legislatore, che attualmente la disciplina in commento possa in astratto essere strumentalmente impiegata per altri fini, diversi da quelli specificamente delineati e per i quali la legge fu promulgata.

Accettazione che, tuttavia, non può voler dire acquiescenza alle istanze che con l’utilizzo strumentale della L. 219/ 2017 siano avanzate, come nel caso Cospito. L’Ordinamento, infatti, prevede e già disciplina autonomamente i rimedi necessariamente - di carattere giurisdizionale per poter chiedere la revisione del regime del 41 bis i quali non possono, a parere di chi scrive, per la solidità stessa di uno Stato di diritto, essere pretermessi o sostituiti con rifiuti di trattamenti salvavita.