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Più che uno scontro tra leader, quello tra Calenda e Renzi somiglia a una zuffa di cortile tra ragazzini. Difficile dire chi sia più bullo dell’altro, ma di certo abbandonare la partita portandosi a casa il pallone ha poco a che fare con la politica. Così, il sogno terzopolista è destinato a rimanere nella mente del leader di Azione a lungo. Il matrimonio con Italia viva infatti è saltato poco prima di salire sull’altare.
Troppo alta la dote pretesa da Calenda in cambio dell’anello: buona parte di soldi da mettere subito in comune, scioglimento immediato dei due partitini fondatori, nessuna candidatura alternativa a quella dell’ex ministro per la leadership del nuovo soggetto (o almeno così malignano dalle parti di Iv), cancellazione della Leopolda dalla ritualità renziana. Richieste ritenute troppo esose dall’ex premier, che di suo avrebbe comunque preferito rimandare la fusione al 2024, dopo le Europee, per avere un quadro più chiaro della nuova geografia politica italiana e capire in che direzione andare (destra o sinistra?) onorando fino in fondo l’ontologica ambiguità terzopolista. E senz’altro per tenersi pure le mani libere fino all’ultimo momento.
Ovvio, avere a che fare con Renzi, che di certo non brilla per simpatia né per ”coerenza”, non deve essere impresa semplice, ma se decidi di fare politica, come dovrebbe aver deciso Calenda, non puoi pensare di porre solo condizioni e impuntare i piedi se dall’altra parte provano a portare acqua anche al loro mulino. Un po’ come quando, nel 2022, il leader di Azione decise dalla notte al giorno di abbandonare un incredulo Letta - e l’alleanza di centrosinistra appena ratificata con abbracci, strette di mano e conferenze stampa congiunte - perché non voleva condividere gli stessi spazi con Fratoianni e Bonalli. È un atteggiamento impolitico quello di Calenda, “gruppettaro” si sarebbe detto in altre epoche, che disconosce le fatiche della mediazione e riversa su Twitter i dettagli volatili degli scazzi interni a discapito delle argomentazioni.
Azione comunque non si arrende, proverà a costruire il Terzo Polo anche da sola. «È un impegno che avevamo preso», dice l’ex ministro. Basterà cambiare nome al partito e il gioco è fatto.