Proprio nel momento in cui l’Anm convoca un’assemblea del Comitato direttivo centrale per discutere, tra le altre cose, dei criteri utilizzati dalla procura generale nel valutare i magistrati coinvolti nelle chat dell’ex consigliere del Csm Luca Palamara, Giovanni Salvi affida le sue ragioni ad un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, con la quale rispedisce al mittente le accuse. E anticipa, nello stesso tempo, quella resa dei conti che andrà in scena a Piazza Cavour, facendo finire a carte bollate l’ennesimo botta e risposta a distanza con Palamara. Salvi, da un lato, annuncia di voler querelare l’ex zar delle nomine e il giornalista Alessandro Sallusti per quanto scritto su di lui ne “Il Sistema”. E Palamara, dall’altro, è pronto ad andare in procura per chiedergli conto delle parole pronunciate durante l’intervista.

La polemica con Palamara

Nel respingere le accuse di chi vede nella sua circolare che depenna l’autopromozione dagli illeciti disciplinari un modo per togliere a se stesso le castagne dal fuoco, in virtù del famoso pranzo del 2017 durante il quale, secondo il libro “Il Sistema”, avrebbe caldeggiato la propria nomina a procuratore generale, Salvi accusa Palamara e Sallusti di aver agito con uno scopo ben preciso. «Il disegno sotteso ai loro libri», spiega a Giovanni Bianconi, era quello di «delegittimare l’intera funzione giurisdizionale per creare il convincimento che certe decisioni di grande rilievo e risonanza derivassero da motivazioni politiche». Quel pranzo, questa la versione di Salvi, sarebbe stato anzi richiesto dall’ex zar delle nomine per questioni relative alla sua scorta. «Nulla ho sollecitato, neppure in quell’occasione, lontana peraltro sei mesi dalle votazioni». Parole alle quali Palamara replica a stretto giro. «Dovrà dire davanti a un giudice penale quale sia il disegno sotteso ai libri scritti da me e Sallusti - dice all’AdnKronos -. Quello che afferma è palesemente falso ed è gravissimo. E conferma la necessità di squarciare il velo di ipocrisia che circonda da troppi decenni una parte malsana della magistratura. Nei miei libri infatti io mi sono rivolto proprio a quelli come lui che hanno sfruttato il sistema delle correnti per fare carriera politicizzando la magistratura. Quanto al pranzo il processo sarà il luogo nel quale dimostrare chi aveva ragione. Ho le prove di quello che dico. E la realtà, nei suoi dettagli e per i risvolti familiari, è ben peggiore del racconto essenziale e sintetico che ho già scritto nel libro». Ma non solo: Palamara annuncia che farà richiesta di accesso agli atti non appena Salvi avrà liberato l’ufficio a piazza Cavour. «Non è uno scherzo - spiega al Dubbio -: quel pranzo fu il preludio di quello che sarebbe accaduto negli incontri successivi che ci furono a novembre del 2017. Il riferimento alla scorta ovviamente è un autogol: a quel pranzo non se ne parlò e c’è traccia del fatto che il tema venne affrontato circa 7-10 giorni più tardi. Non temo alcun confronto pubblico sul punto. Io so di potermi guardare allo specchio la mattina, con riferimento a quel pranzo, spero che altrettanto possa fare lui». L’ex leader dell’Anm spiega che la nomina alla procura generale è «solo l’emblema di quello che significa avere l’appoggio delle correnti, quello che Salvi ha avuto in occasione della nomina a Catania: lui sa a chi si rivolse - aggiunge Palamara, assumendosene la responsabilità -. È ancora in tempo per dirlo. Non facesse raccontare tutto a me». La scelta di candidarsi alle prossime politiche, dunque, sta tutta qui: «Voglio portare avanti il tema di una giustizia che non sia più ipocrita».

I procedimenti disciplinari

Nessun «condono», tuona il massimo magistrato requirente, titolare dell’azione disciplinare, che rimarrà in carica fino al 9 luglio. Una risposta secca a chi lo accusa di aver usato due pesi e due misure nella gestione dei fascicoli sulle toghe coinvolte nello scandalo, sospetto che ora i magistrati di Articolo 101 e Autonomia & Indipendenza vogliono chiarire proprio nel parlamentino dell’Anm il 2 luglio. «Contrariamente alla favola che abbia pagato solo Palamara, sono state fino a questo momento 29 le azioni esercitate, 20 i rinvii a giudizio e 14 le condanne, alcune definitive», spiega Salvi. Impossibile conoscere quali siano i magistrati condannati: oltre a Palamara e gli altri cinque ex togati del Csm presenti alla cena all’Hotel Champagne, gli altri nomi sembrano essere top secret. Un po’ come quelli per i quali gli esposti sono stati archiviati de plano da Salvi, che con una circolare aveva apposto il sigillo di segretezza alle motivazioni. Ma a far infuriare maggiormente le toghe “ribelli” è stata la direttiva con la quale il pg ha stabilito l’irrilevanza disciplinare delle autopromozioni, la stessa che, secondo i 97 magistrati che ne chiesero le dimissioni, lo avrebbe tutelato proprio in relazione al pranzo citato da Palamara, sul quale fino a ieri non aveva dato spiegazioni. «La raccomandazione è riprovevole - spiega Salvi -, ma la giustizia disciplinare si basa sul principio di legalità, quindi sulla “tipizzazione” degli illeciti, e tra le fattispecie punibili non ce n’è una che riguardi specificamente queste condotte». Una posizione che, però, sembra in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite 741/ 2020, relativa proprio al caso Palamara. «Costituiscono violazioni dei doveri di correttezza ed equilibrio propri del magistrato, rientrando nell'ambito dei "comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti di altri magistrati" (art. 2, lett. d), d. lgs. 109/2006), condotte volte a screditare, o valorizzare, colleghi, anche al fine di tentare di interferire con l'attività del Consiglio superiore della magistratura». Motivo per cui, nella lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, al Csm e alla ministra della Giustizia da Rosario Russo - ex sostituto procuratore generale presso la corte di Cassazione, che ha presentato un esposto contro il pg per non aver esercitato, nei modi e nei tempi previsti dalle norme, l’azione disciplinare - «in contrasto con l’anzidetto “editto” emesso dal pg presso la Suprema Corte, secondo le Sezioni Unite e il Consiglio Superiore della Magistratura, le condotte che danno vita al sistema clientelare – spartitorio, mediante qualunque ingiustificata interferenza nella valutazione del Consiglio, autopromozione compresa, sono tutte disciplinarmente sanzionabili in ogni caso, ricorrendo anche l’estremo della gravità».