Non è un caso: Mario Draghi aveva citato la giustizia al primo posto, ieri mattina, nel rivendicare le riforme portate a casa dal suo governo. I provvedimenti sulla «giustizia», innanzitutto, poi quelli relativi a «concorrenza, fisco, appalti, oltre alla corposa agenda di semplificazioni, sono», aveva detto, «un passo in avanti essenziale per modernizzare lItalia». È un passaggio chiave dellintervento che il premier ha pronunciato a Palazzo Madama, ed è strettamente connesso al Pnrr. Perché il capo del governo aveva tenuto a ricordare altre due cose. Da una parte «la riforma del processo penale, del civile e delle procedure fallimentari», oltre a quella sulla «giustizia tributaria» appena incardinata in Parlamento, «sono essenziali per avere processi giusti e rapidi, come ci chiedono gli italiani». Ma dallaltra parte, e soprattutto, il presidente del Consiglio aveva aggiunto che «le scadenze segnate dal Pnrr sono molto precise», e che perciò «dobbiamo ultimare entro fine anno la procedura prevista per i decreti di attuazione della legge delega civile e penale». Senza contare che pure la riforma tributaria, ora al Senato, «deve essere approvata entro fine anno».Draghi neppure ha rammentato che sgarrare sui decreti attuativi del civile e del penale costerebbe 21 miliardi di Pnrr, oltre il 10 per cento del finanziamento promesso dallEuropa allItalia. Con uno stile ormai ben riconoscibile, il capo del governo, più che lanciare allarmi disperati, ha consegnato nelle mani dei partiti tutte le responsabilità, le conseguenze di una crisi e di un ritorno anticipato alle urne. Senza nemmeno puntualizzare le perdite mostruose che il paese soffrirebbe sul piano finanziario.E in effetti, i dati sono quelli evocati da Draghi col suo garbato senso di sfida. I patti con lEuropa prevedono che il percorso normativo debba essere completato entro il 2022, e che altrimenti parte dei fondi andrà perduta. Daltronde la giustizia dà anche la misura del nuovo «patto» che il presidente del Consiglio aveva richiesto nel discorso a Palazzo Madama. La materia è divisiva, e infatti Draghi, in un altro passaggio, non ha mancato di ricordare lo «sfarinamento» che nella maggioranza si è registrato, per esempio, attorno alla riforma del Csm. Ha rammentato cioè che, come sembra storicamente inevitabile, sulla giustizia si raggiunge il più alto grado di tensione, in Italia, a maggior ragione allinterno di una maggioranza così eterogenea.Ma il coefficiente di difficoltà della sfida risiedeva, per Draghi, proprio nella necessità che persino sulla giustizia, in tempi brevi, si arrivasse a un accordo, e innanzitutto al via libera sui decreti attuativi del nuovo processo. Si doveva passare da subito, entro lautunno, dalle sfibranti trattative intavolate fino a poche settimane fa sul ddl Cartabia a una coesione assoluta. Un miraggio. È la cifra del nuovo corso che Draghi si era detto disposto a intraprendere: dovete mettere da parte davvero i contrasti è stato il messaggio rivolto dal presidente del Consiglio ai partiti a cominciare dalle nuove norme sui processi.È vero che i decreti attuativi richiedono, in Parlamento, un parere non vincolante per lesecutivo. Ma è anche vero che quei provvedimenti, una volta usciti dal legislativo del ministero di Marta Cartabia, avrebbero dovuto transitare per un Consiglio dei ministri già dimostratosi capace di clamorose balcanizzazioni, come nel varo del maxiemendamento alla riforma del Csm, nel febbraio scorso. Una maggioranza incapace di disciplinarsi, insomma, avrebbe rischiato di paralizzare anche questa ulteriore produzione normativa. Ed è chiaro che le maggiori tensioni si sarebbero registrate sul processo penale. Ad esempio, sulla definizione puntuale delle nuove regole per i ricorsi in appello e in Cassazione. Non è un caso che il coordinamento dei testi impegni ormai gli uffici di via Arenula da quasi tre mesi. «I testi del penale saranno pronti entro lestate», aveva assicurato Gian Luigi Gatta, consigliere della guardasigilli. A questo punto gli sforzi compiuti dai tecnici rischiano di essere inutili.In una prospettiva di coesione e ferrea disciplina di maggioranza, Draghi e soprattutto Cartabia avrebbero potuto trovare spazio anche per altri passi, come la normazione secondaria sul carcere, vale a dire le modifiche regolamentari previste dalla commissione Ruotolo per migliorare la qualità della vita di detenuti e agenti. Ipotesi che ora, in una prospettiva ridotta alla gestione degli affari correnti, diventerebbero irrealistiche. Daltra parte, il vero banco di prova, sul carcere, sarebbe stato un altro: limpatto, sulla maggioranza, di quei decreti attuativi del penale che prevedono di superare lesecuzione inframuraria quando la pena è al di sotto dei 4 ani. Il ddl delega di Cartabia lo prefigura con chiarezza, ma in una maggioranza affamata di bandierine da sventolare, partiti come Lega e avrebbero approfittato, probabilmente, di quelle materie per infiammare ancora gli ultimi mesi di legislatura. La posta in gioco era alta. E i partiti non se ne sono mostrati allaltezza.