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Al congresso di Lecce politica e istituzioni forensi si sono confrontate sul futuro dell’avvocatura, seguendo il filo conduttore della tutela dei diritti nel tempo dei cambiamenti globali. La tavola rotonda, moderata dal direttore del Dubbio, Davide Varì, si è svolta, nella giornata inaugurale delle assise, in due momenti. Nel primo è stato dato spazio ai parlamentari presenti nel capoluogo salentino: Andrea Delmastro (FdI), Valentina D’Orso (M5S) e Francesco Urraro (Lega). «Nell’ultima legislatura – ha rilevato Delmastro – abbiamo condotto una battaglia di civiltà in favore dell’equo compenso. L’impegno del nostro partito e della sua leader, Giorgia Meloni, è sotto gli occhi di tutti». Gli hanno fatto eco D’Orso e Urraro, che hanno invece rilevato, la prima, l’esigenza di tenere ben presente quanto chiedono i legali in merito all’inserimento dell’avvocato in Costituzione, il secondo, l’impegno leghista sull’equo compenso già prima della legislatura uscente. Delmastro, come esponente del partito più votato alle Politiche, non ha usato giri di parole in merito all’esigenza di intervenire sulla giustizia penale, che, a seguito dei recenti interventi, ha creato un vero e proprio «Frankenstein giuridico, che ci allontana dall’Europa, dopo la visione manettara di Bonafede». Ancora più netto il riferimento dell’esponente di FdI alla giustizia tributaria, che esprime un «sistema medievale» sul quale è necessario intervenire quanto prima. Nella seconda parte del dibattito si sono avvicendati Francesco Perchinunno (presidente Aiga), Giovanni Lega (presidente di Asla), Giuseppe Catalano (presidente dell’Associazione italiana giuristi di impresa), Nicolino Zaffina (Cassa forense), Sergio Paparo (coordinatore Ocf) e Maria Masi (presidente del Consiglio nazionale forense). «Siamo in un momento delicato e particolare», ha evidenziato il presidente dei giovani avvocati Perchinunno. «La tutela dei diritti – ha aggiunto – è e sarà sempre al centro delle attenzioni di tutta l’avvocatura. Oggi occorre moltiplicare gli sforzi sul tema della formazione universitaria, rivedendo alcuni aspetti a partire dalle materie insegnate. Da qui il passo verso la formazione professionale è breve. Chi vuole fare l’avvocato venga formato per questo percorso. Chi, invece, vuole fare il magistrato segua un iter formativo altrettanto adeguato per questo tipo di carriera».Giovanni Lega, presidente dell’Asla, ha voluto fare un po’ di chiarezza rispetto ad alcuni stereotipi consolidatisi nel tempo. «Gli studi legali associati – ha affermato - vengono spesso accomunati solo ai grandi studi. È utile rilevare che nella nostra realtà a fare la differenza sono sempre i singoli anche se abbiamo a che fare con studi composti da centinaia di persone. Oggi il mondo è cambiato. Pensiamo al fatto che sono spariti quasi del tutto i confini fisici e come conseguenza abbiamo assistito all’esigenza di organizzare il lavoro in forma associata». Quante avvocature esistono e come si coordinano con le tante proposte ed idee che stanno emergendo nel congresso forense? È stata questa la domanda che il direttore del Dubbio ha posto a Sergio Paparo e Maria Masi. «È un bene – ha detto il coordinatore dell’Ocf - che ci siano le avvocature. Il problema è quanto queste riescano ad essere valorizzate e a trovare una sintesi partendo dai valori comuni e dai valori fondanti la nostra professione. Non sono d’accordo sulla critica alla formazione universitaria. Va mantenuto un giusto equilibrio tra l’università e i cambiamenti ai quali stiamo assistendo, che disegnano il futuro della professione. L’economia, l’esigenza di una impresa, devono essere conosciute dall’avvocatura. Non solo difensori ma anche professionisti in un sistema che ci spinge verso soluzioni alternative al giudizio. La funzione dell’avvocato è quella di fare il giudice istruttore dei suoi assistiti, per dirla con Calamandrei». Nel congresso forense le prospettive per i giovani avvocati stanno avendo un’attenzione particolare. «Nell’ottica di un profondo rinnovamento della nostra categoria – ha commentato la presidente del Cnf, Maria Masi -, con lo sguardo alle giovani e prossime generazioni di avvocate e avvocati, è imperativo partire da una seria e completa riforma dell’accesso alla professione. Perché il nostro obiettivo deve essere quello di formare l’avvocato del futuro dal punto di vista delle conoscenze e delle competenze non trascurando il ruolo e le funzioni sociali della professione forense». Secondo Masi, occorre ben più di un cambio di passo. «Una rivoluzione culturale – ha aggiunto - che, necessariamente, non può non prendere l’avvio dalla università in un percorso di studi e di formazione fondato sulla qualità e non sui numeri. Formare un avvocato e un giurista deve tenere conto anche delle sensibilità culturali e delle opportunità necessarie per andare oltre il sistema attuale, che pur amiamo, ma che non può e non deve escludere altro».