«Mario Mori sta subendo una grave ingiustizia come fu con il caso Tortora». Lo aveva detto Massimo Bordin durante un convengo del Partito Radicale, l’ultimo perché dopo pochi giorni sarebbe morto lasciando un vuoto incolmabile. E ovviamente ha avuto ragione. Dopo un lungo travaglio giudiziario, la Corte d’assise d’appello di Palermo ha assolto, al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Assolto anche l’ultimo politico rimasto imputato, ovvero l’ex senatore Marcello Dell’Utri, per non aver commesso il fatto. In sostanza, nessuno di loro ha commesso il reato per il quale erano stati condannati in primo grado: minaccia a corpo politico dello Stato. Restano solo i mafiosi, ad essere condannati, ovvero Bagarella e Cinà. Ma attenzione, con la riqualificazione del fatto come «tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello Stato».

Crolla il teorema: nessun "patto scellerato" tra la mafia e uomini delle istituzioni

Ovviamente si dovranno attendere le motivazioni, ma questa riqualificazione della sentenza si può tradurre in un fatto: non c’è stato alcun patto scellerato tra uomini delle istituzioni e la mafia, non c’è stata la trattativa invece teorizzata dalla Procura generale di Palermo. A compiere la tentata minaccia ai tre governi è stata la mafia stessa, molto probabilmente – ma saranno le motivazioni a spiegarcelo – gli attentati continentali del ’93 erano serviti per minacciare lo Stato: la finalità era di piegarlo e avere, magari, dei benefici. La Storia ci dice che lo Stato non solo non si è piegato, ma ha reagito con determinazione. Infatti, ribadiamolo, il reato, per la Corte d’appello, è di “tentata minaccia”. Sicuramente è una grande sconfitta per la Procura generale di Palermo. Non è la prima in realtà. C’è Roberto Scarpinato che ha concluso la propria carriera da capo procuratore generale con una chiara decostruzione del suo impianto accusatorio. Crolla, di fatto, pesantemente la tesi giudiziaria portata avanti da decenni. Ovviamente si dirà che la trattativa c’è stata, perché la Corte d’appello dice che il fatto non costituisce reato. Che i Ros abbiano instaurato un dialogo con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nessuno l’ha mai messo in dubbio. Gli stessi Ros non l’hanno mai nascosto. Lo sapeva Paolo Borsellino (del tentativo di dialogo con Ciancimino, e non ebbe alcunché da dire), lo sapeva la dottoressa Liliana Ferraro, lo sapeva la stessa Procura di Palermo presieduta da Caselli. Un dialogo volto alla cattura dei latitanti. Pensare che Totò Riina abbia interpretato tale dialogo come un patto per avere i benefici, non solo non è dimostrato, ma sarebbe addirittura esilarante. Quindi sì, che i Ros abbiano “trattato” con Ciancimino è un fatto oggettivo: se li avesse aiutati a risalire ai latitanti, avrebbero protetto le loro famiglie. Come può costituire reato tale fatto?

Il nodo di Cinà, medico di Riina. E il famoso "papello"

Resta il nodo di Cinà, il medico di Riina, colui che ha fatto da ambasciatore. Si aprono diversi scenari. Ovviamente è da escludere il fatto che abbia veicolato il famoso papello, visto che non c’è una sola prova che ne dimostri l’esistenza. Molto più probabile, ma saranno le motivazioni a svelare l’arcano, che abbia bluffato, e questo potrebbe essergli costato chiaro. Ma siamo nel campo delle ipotesi e solo le motivazioni potranno fare chiarezza. L’esito non era scontato. La Corte d’appello è riuscita a non farsi travolgere da uno tsunami mediatico senza precedenti. Messa in onda del film della Guzzanti, tra l’altro datato e superato, due trasmissioni televisive in prima serata e le relative repliche, grandi giornali, convegni promossi da associazioni di destra e di sinistra. Una narrazione unica che non ha eguali. Eppure, i giudici della Corte hanno resistito e applicato il diritto. Valutare le prove, studiare le carte, prendere in considerazione le altre sentenze (non solo quella di Mannino) che hanno già decostruito la tesi della trattativa. Non parliamo di sprovveduti. C’è il giudice Angelo Pellino che ha dimostrato nel passato di essere molto scrupoloso. Basterebbe leggere le motivazioni della sentenza del processo Mauro Rostagno. Dove ha analizzato tutte le piste possibili, comprese quelle più fantasiose, vagliato ogni testimone. Un documento che si legge con facilità, perché la verità è sempre quella più semplice. Attenzione, semplice ma indicibile nel contempo.

Un "omaggio" a Falcone e Borsellino

L’assoluzione nei confronti degli ex ros Mario Mori e Giuseppe De Donno è anche un omaggio a Falcone e Borsellino. O meglio, viene ristabilita la loro dignità. Tutte e due si fidavano ciecamente dei due carabinieri. De Donno era il braccio destro di Falcone: con il verbale recentemente desecretato, ora sappiamo che non solo aveva parlato dell’indagine su mafia e appalti, ma che davanti alla commissione Antimafia aveva voluto sottolineare la loro professionalità. Borsellino si è visto con gli ex Ros riservatamente, si fidava così tanto che aveva detto loro di riferire solo a lui. Ora la coraggiosissima sentenza di secondo grado ci dice che i due giudici uccisi dalla mafia, hanno fatto bene a fidarsi. Non erano stati ingenui.