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Dopo sette mesi di ingiusto carcere e arresti domiciliari Enzo Tortora viene definitivamente assolto dalle accuse di associazione di stampo camorristico e traffico di stupefacenti. È il 15 settembre di trent'anni fa. Un calvario che lo segna in modo indelebile. Il 18 maggio del 1988 muore, stroncato da un tumore, conseguenza - non è arbitrario sostenerlo - anche del lungo e ingiusto calvario patito.Chi scrive fu tra i primi a denunciare che in quell'operazione che aveva portato Enzo in carcere assieme a centinaia di altre persone, c'era molto che non andava; e fin dalle prime ore.Tortora viene arrestato nel cuore della notte e trattenuto nel comando dei carabinieri di via Inselci a Roma, fino a tarda mattinata. Lo fanno uscire solo quando si era ben sicuri che televisioni e giornalisti fossero accorsi per poterlo mostrare in manette. Sarebbe interessante sapere chi dà quell'ordine che porta alla prima di una infinita serie di mascalzonate.Rileggo ancora con emozione, indignazione, sgomento le lettere che Enzo mi invia dal carcere; e ancora corre un brivido lungo la schiena. Credo sia utile, necessarie, rileggerle, in giorni in cui tanti, mostrano di aver smarrito la memoria di quello che è stato.16 settembre 1983 «Da tempo volevo dirti grazie?Hai "scommesso" su di me, subito: con una purezza e un entusiasmo civile che mi commossero immensamente. Vincerai, naturalmente, la tua "puntata". Ma a prezzo di mie sofferenze inutili e infinite. Io sono stato il primo a dire che il "caso Tortora è il caso Italia". Non intendo avere trattamenti di favore, o fruire di scorciatoie non "onorevoli"? Se dal mio male può venire un po' di bene per la muta, dolente popolazione dei 40mila sepolti vivi nei lager della democrazia, e va bene, mi consolerà questo».2 maggio 1984 «?Che si faccia strame della libertà di un uomo, della sua salute, della sua vita, come può esser sentito come offesa alla libertà, alla vita, alla salute di tutti in un Paese che non ha assolutamente il senso sacro, della propria dignità e delle libertà civili? Non è vero che l'Italia "ha abolito la pena di morte". Abbiamo un boia in esercizio quotidiano, atroce, instancabile. Ma non vogliamo vederlo. La sua scure si abbatte, ogni minuto, sul corpo di uomini e di donne, e li squarta vivi, in "attesa" di un giudizio che non arriva mai. L'uomo qui è niente, ricordatevelo. L'uomo qui può, anzi deve attendere. L'uomo qui è una "pratica" che va "evasa" con i tempi, ignobili, della crudeltà nazionale?».15 luglio 1985 «?In questa gara, tra chi pianta più in fretta i chiodi, come al luna park dell'obbrobrio giudiziario, e i pochi che si ribellano, sta tutta la mostruosa partita. Vedere a che lurido livello s'è ridotta la dignità di questo Paese è cosa che mi annienta più d'ogni altra. So che sei coi pochi. Da sempre. Te ne ringrazio, fraternamente».7 ottobre 1985 «?Sono stato condannato e processato dalla Ngo, Nuova giustizia organizzata. Io spero che questa fogna, che ormai nessun tombino può contenere, trabocchi e travolga chi lo merita?».2 aprile 1986 «?Diffamatori è poco: sapevano quel che facevano. Ma per pura voluttà scandalistica, per pura, stolida ferocia, qui si getta fango sino all'estremo. Ho paura di questi cannibali. Ho soprattutto vergogna di essere italiano?».17 agosto 1987 «?Siamo molti?ma troppo pochi per spezzare la crosta di ottusa indifferenza che copre e fascia la rendita di alcuni farabutti mascherati da Magistrati. Tanto più importante e notevole il vostro impegno. Tenteremo, sul caso Melluso, quel che si potrà. Ho inviato al ministro Vassalli l'incredibile servizio, gli ho anche detto che i responsabili hanno nome e cognome: Felice Di Persia, Lucio Di Pietro, Giorgio Fontana, Achille Farina, Carlo Spirito? Sono ancora lì, al loro posto? Staremo a vedere?».Manca, tuttavia, a distanza di tanti anni da quei fatti, la risposta alla quinta delle classiche domande anglosassoni che dovrebbero essere alla base di un articolo: perché?. Alla ricerca di una soddisfacente risposta, si affonda in uno dei periodi più oscuri e melmosi dell'Italia di questi anni: il rapimento dell'assessore all'urbanistica della Regione Campania, il democristiano Ciro Cirillo da parte delle Brigate Rosse di Giovanni Senzani, e la conseguente, vera, trattativa tra Stato, terroristi e camorra di Raffaele Cutolo.Il cuore della vicenda è qui. Sono le 21.45 del 27 aprile 1981 quando le Brigate Rosse sequestrano Cirillo. Segue una frenetica, spasmodica trattativa condotta da esponenti politici della Dc, Cutolo, uomini dei servizi segreti per "riscattarlo". Viene chiesto un riscatto, svariati miliardi. Il denaro si trova. Durante la strada parte è "stornato", non si è mai ben capito da chi. Anche in situazioni come quelle c'è chi si prende la "stecca". A quanto ammonta il riscatto? Si parla di circa cinque miliardi. Da dove viene quel denaro? Raccolto da costruttori amici. Cosa non si fa, per amicizia! Soprattutto se poi c'è un "ritorno". Il "ritorno" si chiama ricostruzione post-terremoto, i colossali affari che si possono fare; la commissione parlamentare guidata da Oscar Luigi Scalfaro accerta che la torta era costituita da oltre 90mila miliardi di lire. Peccato, molti che potrebbero spiegare qualcosa, non sono più in condizione di farlo: sono tutti morti ammazzati, da Vincenzo Casillo luogotenente di Cutolo a Giovanna Matarazzo, compagna di Casillo; da Salvatore Imperatrice che ebbe un ruolo nella trattativa, a Enrico Madonna, avvocato di Cutolo; e Antonio Ammaturo, il poliziotto che aveva ricostruito il caso Cirillo in un dossier spedito al Viminale, «mai più ritrovato». Questo il contesto. Ma quali sono i fili che legano Tortora, Cirillo, la camorra, la ricostruzione post-terremoto? Ripercorriamoli qui i termini di una questione che ancora "brucia". Cominciamo col dire che: Tortora era un uomo perbene, vittima di un mostruoso errore giudiziario. Che il suo arresto costituisca per la magistratura e il giornalismo italiano una delle pagine più nere e vergognose della loro storia, è assodato.«Cinico mercante di morte», lo definisce il Pubblico Ministero Diego Marmo; e aggiunge: «Più cercavamo le prove della sua innocenza, più emergevano elementi di colpevolezza». Le "prove" erano la parola di Giovanni Pandico, un camorrista schizofrenico, sedicente braccio destro di Cutolo: lo ascoltano diciotto volte, solo al quinto interrogatorio si ricorda che Tortora è un camorrista. Pasquale Barra detto 'o nimale: in carcere uccide il gangster Francis Turatello e ne mangia l'intestino? Con le loro dichiarazioni, Pandico e Barra danno il via a una valanga di altre accuse da parte di altri quindici sedicenti "pentiti": curiosamente, si ricordano di Tortora solo dopo che la notizia del suo arresto è diffusa da televisioni e giornali. Arriviamo ora al nostro "perché? " e al "contesto".A legare il riscatto per Cirillo raccolto ai costruttori, compensati poi con gli appalti e la vicenda Tortora, non è un giornalista malato di dietrologia e con galoppante fantasia complottarda. È la denuncia, fatta anni fa, della Direzione antimafia di Salerno: contro Tortora erano stati utilizzati "pentiti a orologeria"; per distogliere l'attenzione della pubblica opinione dal gran verminaio della ricostruzione del caso Cirillo, e la spaventosa guerra di camorra che ogni giorno registra uno, due, tre morti ammazzati tra cutoliani e anti-cutoliani. Fino a quando non si decide che bisogna reagire, fare qualcosa, occorre dare un segnale. E' in questo contesto che nasce "il venerdì nero della camorra", che in realtà si rivelerà il "venerdì nero della giustizia": 850 mandati di cattura, e tra loro decine di arrestati colpevoli di omonimia, gli errori di persona. Nel solo processo di primo grado gli assolti sono ben 104? Documenti ufficiali, non congetture.Candidato al Parlamento europeo nelle liste radicali, eletto, chiede sia concessa l'autorizzazione a procedere, che invece all'unanimità viene negata. A questo punto, Tortora si dimette e si consegna all'autorità, finendo agli arresti domiciliari. Diventa presidente del Partito Radicale e i temi della giustizia e del carcere diventano la "sua" ossessione.Nessuno dei "pentiti" che lo accusa è chiamato a rispondere delle sue calunnie. I magistrati dell'inchiesta fanno tutti carriera. Solo tre o quattro giornalisti hanno chiesto scusa per le infamanti cronache scritte e pubblicate. Un errore, ed insieme un orrore, l'affaireTortora. Un orrore per quello che è stato, che implica, fa intuire; e definirlo un errore è forse troppo semplice, perfino assolutorio; che quella patita da Tortora è stata un'ingiustizia che, manzonianamente, poteva essere veduta da quelli stessi che la commettevano, «un trasgredir le regole ammesso anche da loro». E si torna al punto di partenza: perché è accaduto, perché si è voluto accadesse. Né si possono assolvere dicendo che non sapevano quello che facevano: se davvero non sapevano è perché decisero consapevolmente, di non sapere. Insomma, una colpa, se possibile, ancora più grave.Ora tutti riconoscono che l'intero castello accusatorio era più fragile di un castello di sabbia; e che Tortora era una persona perbene. Enzo diceva sempre che non era, il "suo" il "caso Tortora", ma "il caso Italia"; che resta, rimane, a cominciare dalla situazione delle carceri, e dall'irragionevole durata dei processi. Lo avevano ben compreso Marco Pannella, suo amico di sempre, che per lui si batte come un leone; e Leonardo Sciascia, che fin da subito si dichiara certo della sua innocenza? Sarà per questo che assistiamo a tante celebrazioni post mortem e alla memoria, molte certo in buona fede (altre se ne però lecitamente dubitare), senza che i radicali vengano mai invitati, tacitati, esclusi?