Nonostante ci siano diverse sentenze di Cassazione che dicono chiaramente di non sanzionare un semplice scambio di saluti al 41 bis tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, l’amministrazione penitenziaria continua a punire chi lo fa. Ancora una volta emerge l’annoso problema dell’applicazione delle ordinanze emanate dai magistrati di sorveglianza: il Dap puntualmente fa ricorso, i tribunali si ingolfano inutilmente, per poi arrivare in Cassazione che decide su una questione già affrontata in altri casi. A gennaio la Cassazione respinse il ricorso del Dap A gennaio scorso, su Il Dubbio, è stata data notizia della sentenza di Cassazione del 2020 che ha respinto il ricorso dell’amministrazione contro la decisione della magistratura di sorveglianza che accolse il reclamo proposto da Emanuele Argenti, sottoposto al regime del 41 bis del carcere aquilano, sul presupposto che il saluto rivolto ad altro detenuto non integrasse alcuna forma di comunicazione, implicando tale nozione uno scambio di dati, stati d’animo, sensazioni, non ravvisabile nel semplice saluto. Un'altra sentenza che conferma l'ordinanza della magistratura di sorveglianza Ora c’è l’ennesima sentenza della Cassazione che ha respinto il ricorso del ministero della Giustizia nei confronti dell’ordinanza della magistratura di sorveglianza favorevole a Natale Dantese, recluso al 41 bis de L’Aquila e assistito dall’avvocato Vinicio Viol del foro di Roma. Parliamo sempre della sanzione disciplinare per lo scambio di saluti al 41 bis. Accade che Dantese ha proposto reclamo davanti al Magistrato di sorveglianza de l'Aquila, avverso la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività comuni inflittagli, per la durata di cinque giorni, dal Consiglio di disciplina del carcere aquilano perché aveva salutato un altro detenuto, anch'egli sottoposto al 41 bis, appartenente a diverso gruppo di socialità. Con ordinanza del 2017, il Magistrato di sorveglianza de L'Aquila accoglie il reclamo proposto da Dantese, sul presupposto che il saluto rivolto ad altro detenuto non integrasse alcuna forma di comunicazione. Il ministero della Giustizia ha proposto reclamo chiedendo l'annullamento dell’ordinanza impugnata, sul presupposto che il divieto di comunicazione imposto ai detenuti al 41 bis, abbia la finalità di impedire i collegamenti del detenuto che vi è sottoposto con il sodalizio criminoso di appartenenza e che anche il semplice saluto, nelle sue varie forme di estrinsecazione, possa celare un messaggio occulto, in quanto l'atteggiamento di riverenza o meno con il quale si esprime potrebbe significare anche una forma di sottomissione verso il soggetto al quale è rivolto, a seconda di chi per primo rivolge il saluto o a seconda anche del tipo di saluto che viene rivolto, trattandosi di forme particolari che possono assumere un preciso significato nella subcultura carceraria. Nel semplice saluto non si può ravvisare una comunicazione Con ordinanza del 2019, il Tribunale di sorveglianza de L'Aquila ha rigettato il reclamo, ritenendo che nella semplice dichiarazione di saluto, anche qualora accompagnata dalla menzione di un nome proprio di persona, ma non inquadrata nel contesto di una conversazione, non potesse ravvisarsi una comunicazione in senso proprio, richiedendo il relativo concetto la trasmissione di un'informazione da un soggetto ad un altro, nella specie non ravvisabile. A quel punto il ministero ha fatto ricorso in Cassazione. La Corte suprema rigetta il ricorso, motivando per l’ennesima volta che lo scambio di saluti al 41 bis non può essere sanzionabile, perché «deve escludersi che si fosse in presenza di una "comunicazione" nel senso indicato, non essendovi stata alcuna trasmissione di informazioni da un individuo a un altro, ovvero un'interazione tra soggetti diversi nell'ambito della quale essi costruivano insieme una realtà e una verità condivisa». Quella circolare del Dap revocata dopo appena due giorni Pertanto, sempre secondo la Cassazione, «correttamente il Tribunale di sorveglianza ha rilevato come tale dichiarazione doveva considerarsi di natura neutra, non potendosi in essa cogliere alcuna particolare informazione e non avendo l'atto, in definitiva, un vero e proprio intento comunicativo». Ma è accettabile, da parte dell’amministrazione penitenziaria, la continua opposizione alle ordinanze della magistratura? In realtà, come rivelato da Il Dubbio, ad ottobre del 2020 è stata emanata una importante circolare che aveva come oggetto i “reclami giurisdizionali (articolo 35- bis OP)” e comunicava l’orientamento assunto dai magistrati di sorveglianza a seguito dei rilevanti interventi della Corte costituzionale e della Cassazione sul 41 bis. Nello specifico ha chiesto ai direttori delle carceri che ospitano i 41 bis, di conformare l’azione amministrativa ai princìpi e alle ordinanze di accoglimento dei reclami dei detenuti da parte della magistratura di sorveglianza in materia di cottura dei cibi (sentenza Corte costituzionale del 26 settembre 2018 n. 186), di eliminazione del divieto di scambio di oggetti tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità (sentenza Corte costituzionale del 5 maggio 2020 n. 97), di eliminazione delle limitazioni alla permanenza all’aria aperta a una sola ora e di annullamento di sanzioni disciplinari inflitte per condotte consistenti in meri scambi di saluto tra detenuti come motivato da diverse sentenze della Cassazione. La circolare è a firma del direttore generale Turrini Vita. Ma è stata clamorosamente revocata dopo appena due giorni dal capo del Dap Bernardo Petralia e dal vice Roberto Tartaglia. Che senso ha opporsi ai princìpi costituzionali, già oggetto di sentenze delle corti superiori, quando in realtà l’amministrazione stessa è obbligata ad uniformarsi?