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In fila indiana, le mani legate tra loro, le teste e i corpi completamente tatuati, coperti solo da un paio di boxer, tutti uguali. Così sono stati fatti sfilare la settimana scorsa i circa duemila arrestati al termine di un unica operazione, appartenenti alle bande criminali che spadroneggiano in Salvador. Nel tentativo di fermare lo strapotere dei cartelli il presidente salvadoregno Nayib Bukele, nel marzo dello scorso anno, ha dato il via alla cosiddetta guerra alle bande istituendo lo stato di emergenza. Lo scopo sarebbe quello di eradicare completamente il fenomeno attraverso misure che vanno ben al di là delle garanzie costituzionali e confinando tutti gli arrestati in una nuova mega prigione.
La struttura, denominata Centro di confinamento antiterrorismo, si trova a Tecoluca a settantaquattro chilometri a sud est della capitale San Salvador. Un penitenziario monstre (il piu grande del Latinoamerica e probabilmente del mondo) che una volta terminato conterrà fino a quarantamila detenuti. Ogni palazzina (otto in totale) ospita trentadue super celle di circa cento metri quadrati per un numero analogo di internati.
Il presidente Bukele ha salutato con grande enfasi la costruzione della prigione considerandola una parte fondamentale della sua strategia. Attraverso twitter ha dichiarato che: «questa sarà la loro nuova casa ( dei criminali arrestati ndr.), tutti insieme, incapaci di recare ulteriori problemi alla popolazione». I duemila mostrati alla gente in un'esibizione propagandistica saranno però solo i primi ospiti del Centro di confinamento antiterrorismo.
La popolazione carceraria infatti dovrà per forza allargarsi perché gli arresti massicci sono giornalieri. Da quando è iniziata la guerra alle gang sono stati catturati dalle forze speciali fino a sessantaquattro mila persone su circa 6,5 milioni di abitanti del Salvador.
L'azione anti crimine si è concentrata soprattutto nei confronti delle bande piu grandi e famose, l'MS- 13 e Barrio- 18 ad esempio hanno arruolato decine di migliaia di affiliati e sono responsabili di omicidi, estorsioni e traffico di droga. La direzione dichiarata dunque, anche se sembra abbastanza improbabile, e quella di arrestare tutti, ciò ha già sollevato le critiche delle organizzazioni per i diritti umani che sostengono come siano state arrestate moltissime persone innocenti che hanno subito trattamenti crudeli e degradanti. Le misure contenute nel decreto dello stato di emergenza consentono alla polizia di arrestare i sospetti senza mandato aumentando il numero delle detenzioni arbitrarie. Per capire come agiscono le forze di repressione anti crimine basta citare il caso di Soyapango, una delle più grandi città di El Salvador con una popolazione di oltre duecentonovantamila persone. Il centro urbano è notoriamente conosciuto come uno dei luoghi dove le gang sono attivissime. Ad aprile dello scorso anno diecimila soldati hanno circondato la città. Tutte le strade sono state bloccate e sono state perquisite le case alla ricerca di membri delle bande.
Nonostante le evidenti storture dei provvedimenti repressivi presi dal governo, il presidente Bukele sembra godere di un notevole favore da parte della popolazione. Un recente sondaggio condotto dalla Central American University ( UCA) ha rilevato che il 75,9% dei salvadoregni approva lo stato di emergenza. Non una sorpresa però perché il giro di vite è scaturito dal numero impressionante di omicidi il cui picco si è registrato il 26 marzo scorso con sessantadue vittime in sole 24 ore, una carneficina che non si ricordava dai tempi della guerra civile terminata nel 1992.
Il parlamento dunque ha accolto la proposta di leggi speciali che oltre alla possibilità di arresti senza l'autorizzazione di un magistrato puntano a controllare le comunicazioni. Molti degli omicidi sarebbero stati ordinati da dietro le sbarre e così nei penitenziari si attuano periodici blocchi dei colloqui e delle telefonate. Qualcosa di simile era già successo nel 2020, mentre il coronavirus si diffondeva nel paese, il presidente Bukele impose un blocco di cinquanta giorni per i membri delle bande imprigionati dopo che più di quaranta persone erano state uccise in 72 ore.