«La mancata comunicazione da parte egiziana del domicilio degli imputati, nonostante gli sforzi diplomatici profusi al fine di conseguirla, non si risolve nella mera "fuga dal processo" ma sembra costituire una vera e propria ammissione di colpevolezza da parte di un regime che sembra aver considerato la cooperazione giudiziaria alla stregua di uno strumento dilatorio finalizzato a recuperare il precedente livello delle relazioni bilaterali, e non certo la via maestra per assicurare alla giustizia gli assassini di Giulio Regeni». È quanto si legge nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di
Giulio Regeni che sarà approvata oggi.
Caso Regeni, cosa scrive la commissione parlamentare d'inchiesta
«La battuta d’arresto dell’iter processuale - prosegue la Commissione -
a seguito dell’ordinanza della Corte d’assise di Roma del 14 ottobre 2021, ha natura meramente procedurale e non pregiudica in alcun modo le conclusioni cui è giunta la magistratura inquirente, pienamente condivise con questa Commissione alla luce dell’ampia inchiesta svolta e della documentazione acquisita». Nella relazione si afferma che «nel corso dei suoi lavori, la Commissione ha potuto accertare il qualificato e straordinario ruolo svolto dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, efficacemente supportati dagli ufficiali di polizia giudiziaria del ROS dell’Arma dei Carabinieri e dallo Sco della Polizia di Stato». «Nonostante la difficoltà evidente di perseguire reati commessi all’estero, e in assenza di una convenzione bilaterale in materia di assistenza giudiziaria,
gli inquirenti hanno conseguito risultati insperati che costituiscono un importante precedente, anche alla luce della crescente esigenza di tutela dei connazionali all’estero nell’epoca della globalizzazione».