Chi pensa che Nordio possa favorire un conflitto coi magistrati, sottovaluta il neoguardasigilli. Soprattutto ne sottovaluta il senso politico. Le prime parole del nuovo ministro della Giustizia, le prime che entrino nel dettaglio dei dossier più importanti, sono un saggio della sua abilità diplomatica. «Mai, mai e poi mai, ho pensato alla separazione delle carriere come primo passo verso un controllo del governo sul pubblico ministero. Mi fa inorridire solo l’idea». Dichiarazione affidata al Corriere della Sera di oggi, in un colloquio ampio, come l’altro apparso sul Messaggero. Nordio chiarisce ancora: «L’indipendenza della magistratura per me è un idolo. Se non ne avessi un rispetto sacrale non avrei fatto il magistrato ma l’impiegato». E ricorda che «nei Paesi dove c’è la separazione delle carriere infatti non c’è il controllo dell’esecutivo sul pm. E chi lo paventa dice una balla colossale». Certo, di per sé non è un tranquillizzante, per la magistratura. Quanto meno per l’Anm. ma è una replica ai timori espressi da alcune figure di spicco dell’associazionismo giudiziario dal minuto successivo al giuramento del nuovo guardasigilli. Ad esempio Eugenio Albamonte, segretario di Area, la corrente progressista delle toghe, secondo il quale i propositi di Nordio punterebbero a «rendere i magistrati del pubblico ministero più isolati e più facilmente suscettibili di controllo». Ecco, Nordio non pensa a un pubblico ministero assoggettato alla politica. Neppure a favorire indirettamente un successiva evoluzione di questo tipo. E qui però saranno importanti le sfumature. Nell’intervista al Messaggero, il ministro è chiaro nell’evocare un’altra svolta, l’addio all’obbligatorietà dell’azione penale: parla di «discrezionalità», e osserva con il suo straordinario acume che se si introducesse «il potere per il pm di filtrare a monte i casi di cui viene investito e di non procedere per quelli che ritiene insussistenti, ci sarebbe un gran carico di lavoro in meno». Tutto starà a chiarire se sarà la politica, o un circuito giudiziario che veda coinvolto anche il Csm, a stabilire i necessari criteri per disciplinare quella «discrezionalità». Se appunto, non toccherà al Parlamento indicarli, sarà più difficile, per le toghe “refrattarie”, gridare al pericolo di pm braccio armato del potere politico. Di certo, Nordio si mostra subito abile. Parla già da uomo di governo, non da ex magistrato. E raccoglie consensi: anche all’esterno della maggioranza. Colpisce il post di Ettore Rosato, presidente di Italia viva: «Carlo Nordio l’ho sentito quando ha partecipato alle Leopolda, ha sempre detto cose che ho condiviso. Le dice anche oggi in modo chiaro e diretto nell’ultima intervista al Messaggero. Vediamo cosa gli lasceranno fare». Rosato si riferisce anche all’approccio su inappellabilità delle assoluzioni e interventi di depenalizzazione. Se il ministro della Giustizia mostrerà di sapersi muovere con passo misurato, con determinazione negli obiettivi ma con un linguaggio capace di disarmare i conflitti, i sì alle sue proposte potrebbero riuscire a travalicare agevolmente i confini della maggioranza. E realizzare almeno in parte quella saldatura fra centrodestra e Terzo polo che, sulla giustizia, è subito apparsa nella natura delle Cose.