“Non tutti sanno che” è il notiziario della casa di reclusione di Rebibbia a Roma. A dirigerla c’è il giornalista professionista ed ex vaticanista Roberto Monteforte, volontario da anni nel carcere capitolino. Tutti quelli che firmano articoli sono detenuti e formano la redazione. Proprio Roberto nell’editoriale del primo numero spiega le ragioni dell’iniziativa: «Raccontare la “vita di dentro” per favorire il percorso di recupero e di consapevolezza di chi è “recluso” e per far conoscere la realtà di una vita da “costretto”. Certo, è fatta di sofferenza e dolore, ma vi sono anche opportunità, speranze, successi quotidiani che meritano di essere condivisi. C’è poi tutta un’umanità dietro le sbarre da raccontare. L’altro obiettivo, forse ambizioso, è quello di costruire un ponte con il mondo che è “fuori”, offrendo spunti per riflettere e per superare la cultura del pregiudizio e dell’indifferenza, che porti ad un rispetto della dignità del cittadino recluso. Il mio compito da giornalista professionista è tentare di accompagnare la redazione e organizzare questo percorso, visto che non è semplice riuscire a “comunicare” andando oltre la denuncia e lo sfogo personale». L’editoriale di Monteforte conteneva anche riflessioni sui suicidi in carcere. Tema sul quale il nostro giornale ha lanciato un appello affinché si metta fine a questa strage di vite umane, in custodia dello Stato: «È un appello che condivido – ci dice Roberto - e rilanceremo perché l'emergenza suicidi la si contrasta umanizzando il periodo di detenzione, tutelando la dignità di chi è ristretto, dando senso al tempo di reclusione con progetti che ne favoriscano la responsabilità sociale e il futuro reinserimento. Anche consentire spazio all'affettività e al rapporto con la famiglia sono un antidoto al suicidio. Questa mi pare sia la strada che offre maggiore sicurezza e che aiuta a non delinquere, ad abbattere la recidiva». Tra i reclusi che hanno aderito al progetto giornalistico con entusiasmo c’è anche Federico Ciontoli, che abbiamo conosciuto purtroppo per la vicenda di Marco Vannini. Federico, nel numero di agosto, firma diversi articoli. Il primo ha il titolo “Il Covid 19 visto da vicino”: «Il carcere è per me casa, posto di lavoro, scuola, spazio pubblico, etc. La casa è anche posto di lavoro, lo spazio comune è anche casa, e così via. Il mio mondo è tutto racchiuso dentro quattro mura. Condivido la casa con persone che non conosco, alcune delle quali con patologie a rischio con Covid-19. Per non parlare poi delle quotidiane file per la spesa, per la fornitura, per il cambio lenzuola, dove per necessità l’uno è a stretto contatto con l’altro. E ancora in classe con i docenti, in infermeria con il personale sanitario, con gli agenti, con i/le volontari/rie, con gli/le operatori/trici. Insomma, non è cosa semplice arginarla diffusione di un agente trasmissibile quando tutto avviene nello stesso spazio, sia questo un agente della mente come la stupidità, sia del corpo come il virus. E se già fuori è complicatissimo, dentro è al limite del possibile. Al più, si possono limitare i danni. Ma c’è altro che io, da libero, non immaginavo…». Poi ci sono due interviste di Monteforte a Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti del comune di Roma, e a Ottavio Casarano, già direttore di Rebibbia. Ma poi c’è anche Danilo Guadagnoli che ha scritto un articolo che ha fatto già discutere: ‘Vitto e sopravvitto lo scandalo infinito’, come spesso vi abbiamo raccontato da questo giornale. «Oggi è venerdì. Alla Cr di Rebibbia si mangia pesce. Il vitto prevede come secondo nasello congelato dell’Oceano Pacifico, oppure tentacoli di totano gigante del Mar della Cina. Come primo piatto offre spaghetti con cozze congelate provenienti dal Vietnam». Dietro all’esotico menù, spiega il detenuto, c’è appunto lo scandalo per cui da anni sempre la stessa ditta si aggiudica l’appalto sia per il vitto che per il sopravvitto. Grazie ad un pronunciamento della Corte dei Conti ora i due bandi sono separati ma li ha vinti sempre la stessa ditta. «I controlli sono essenziali» però scrive Danilo; «questa azione di controllo non è contro qualcuno ma semplicemente a tutela dei diritti dei detenuti ad avere un vitto decente e, per la parte acquistabile, ad un prezzo giusto». Se volete vedere come vanno a finire i racconti ma anche leggere le interviste di approfondimento realizzate sulla rivista non vi resta che collegarvi al sito di Ristretti Orizzonti, diretto da Ornella Favero, che ospita il notiziario. “Non tutti sanno. La voce dei detenuti di Rebibbia” è pure un libro edito dalla Lev, la casa editrice vaticana e curato da suor Emma Zordan che da più di otto anni è volontaria al carcere della capitale. Il volume raccoglie le testimonianze dei ristretti e dei loro familiari. Sono loro gli autori del volume.