Non si è fatta attendere la risposta della magistratura associata. Appena si è sparsa la voce che il Governo, nell’ultimo Consiglio dei ministri del 2016, all’interno del decreto milleproroghe non aveva inserito le modifiche richieste da mesi con insistenza dalle toghe, e cioè portare a 72 anni l’età massima per il trattenimento in servizio e ripristinare a 3 anni il periodo minimo di permanenza in un ufficio giudiziario per poter poi essere legittimati nel presentare domanda di trasferimento, si è scatenata la dura reazione dell’Associazione nazionale magistrati.

Nel mirino sono finiti, nell’ordine, il governo, ed in particolare il ministro della Giustizia Andrea Orlando, con cui ad ottobre erano state concordate le modifiche, e i vertici della Corte di Cassazione che hanno “beneficiato” della proroga, da 70 a 71 anni, dell’età pensionabile.

Con un comunicato diramato nella tarda serata di giovedì, la Giunta esecutiva centrale dell’Anm rappresentava che «contrariamente a quanto annunciato, il Governo non ha adottato alcun intervento correttivo né sul lato delle pensioni né su quello del termine per la legittimazione ai trasferimenti, neanche per i magistrati più giovani». Ed infatti, «dopodomani diversi colleghi saranno collocati a riposo, andando a peggiorare la drammatica carenza di organico, con la consapevolezza di essere stati discriminati e aver subito le conseguenze di una inspiegabile norma che ha stabilito, in contrasto con la Costituzione, che alcuni uffici giudiziari sono più importanti di altri». «La scelta dell’Esecutivo - prosegue la nota non ha tenuto per nulla in considerazione gli impegni politici assunti dal Governo e in modo ufficiale dal Ministro della Giustizia: si sta valutando ogni possibile iniziativa da adottare in conseguenza di questo incomprensibile vulnus alla positiva interlocuzione che sembrava essersi concretizzata negli ultimi mesi nell’interesse superiore dei cittadini».

Anche Magistratura Indipendente, la corrente di centrodestra delle toghe, ha voluto commentare a caldo la decisione del Governo. «Nonostante - si legge in una nota - l’alto senso istituzionale mostrato nel condividere un percorso non semplice e aperto al dialogo, il Governo, come già sottolineato dal comunicato della Anm, non ha inteso porre rimedio alle distorsioni provocate dall’entrata in vigore del Decreto Legge n. 168/ 2016 ( quello che proroga l’età della pensione per i soli vertici della Corte di Cassazione, n. a.) e alla gravissima violazione dei principi base della Carta su cui è fondato il nostro Stato: dalla separazione dei poteri, all’autonomia della Magistratura, dalla uguaglianza dei cittadini, alla pari ordinazione dei singoli magistrati». Pertanto, «a fronte dell’inerzia del Governo, vi è un solo modo per evitare che tale vulnus all’indipendenza della Magistratura si concretizzi: i beneficiari di tale proroga scrivano l’ennesima splendida pagina della Magistratura italiana, rifiutando gli effetti delle citate norme dimettendosi entro il 31 dicembre 2016». Il comunicato si chiude con il «rammarico che su tale invito ( le dimissioni del presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio e del procuratore generale Pasquale Ciccolo, n. a.) non si sia riusciti a raggiungere una posizione unitaria nella Giunta dell’Anm». La nota più dura, che non lascia spazio a repliche, è quella di Autonomia& Indipendenza, la corrente del presidente dell’Anm Piercamillo Davigo e del togato del Csm Aldo Morgigni: «Le misure adottate dal Consiglio dei Ministri non appaiono per nulla corrispondenti all’impegno “scritto” assunto dal Ministro della Giustizia e dell’allora presidente del consiglio Renzi». «E’ gravissimo - proseguono le toghe davighiane - sul piano istituzionale la violazione di questo formale impegno, in quanto ciò denota l’assoluta mancanza di ogni forma di rispetto verso la funzione giudiziaria, il suo corretto ed efficace svolgimento e chi è chiamato a rappresentarla». Pertanto «è allo stato impossibile ogni forma di dialogo con chi omette ogni intervento per migliorare le condizioni del servizio da rendere ai cittadini, preoccupandosi di adottare solo misure e riforme che hanno avuto l’effetto di peggiorare le condizioni di lavoro dei magistrati senza produrre alcun beneficio». Anzi, «è particolarmente grave l’elevazione del periodo di legittimazione necessario per ottenere il trasferimento di sede e il mancato intervento correttivo, soprattutto con riferimento ai magistrati di prima nomina». In conclusione, «è inutile ogni forma di confronto con interlocutori privi di ogni affidabilità perché non rispettosi degli impegni assunti, ritenendo lo sciopero l’unica forma di protesta da adottare».

Non poteva mancare, infine, la nota del gruppo di Area, la corrente progressista: «Il Governo, inerte di fronte alle gravissime disfunzioni degli uffici, disattende ancora una volta gli impegni formalmente assunti. E questa è solo l’ultima di una serie di promesse mancate». Al riguardo, «auspichiamo che gli effetti di una proroga così gravemente lesiva dell’immagine di autonomia e indipendenza della magistratura non siano accettati da coloro che dovrebbero beneficiarne e che i magistrati valutino ferme manifestazioni di protesta attuandole, prima ancora che con la proclamazione di uno sciopero, anche disertando le imminenti inaugurazioni dell’anno giudiziario cui non siano tenuti a prendere parte per dovere d’ufficio». A parte i comunicati, dettati dalla tensione del momento e che evidenziano la sconfitta di Davigo nei confronti del governo, la vera partita si giocherà nella prossima riunione della Giunta dell’Anm, convocata subito dopo Capodanno. In quella sede si vedrà se la spunteranno i “duri” o i “filogovernativi”. Perché, come dice un autorevole esponente dell’Anm, se «queste riforme l’avesse fatte il governo Berlusconi ci sarebbero già le barricate all’esterno dei tribunali».