Al Palazzo comunale di Riace non ci metterà piede per i prossimi 5 anni, perché non eletto. La sua lista è arrivata terza, occupando dunque i pochi posti a disposizione della minoranza. Ma Mimmo Lucano nel suo paese non potrà tornarci comunque. E lo ha saputo la sera prima che il processo a suo carico davanti al tribunale di Locri iniziasse. La decisione porta la firma del presidente del collegio che giudicherà lui e gli altri 25 imputati coinvolti nell’inchiesta “Xenia”, che ha congelato e poi archiviato i suoi 15 anni da sindaco con sette mesi d’anticipo e che, soprattutto, ha messo un lucchetto al sistema di accoglienza più famoso del mondo. La motivazione del rifiuto, scrive il giudice Fulvio Accurso, è semplice: il processo a carico dell’imputato non è neppure iniziato e la vicenda cautelare, anche per ciò che concerne l’esigenza di tenerlo lontano da Riace, è sub judice. Toccherà, dunque, attendere un nuovo esame della Cassazione, che a febbraio scorso aveva completamente smontato una prima volta le accuse, rispendendole al Riesame di Reggio Calabria. Ma lì il divieto di dimora è stato riconfermato, sottolineando l’enorme influenza di Lucano sulla politica locale e, dunque, la sua possibilità di ripetere o far ripetere i reati per i quali si trova a processo. Un’influenza che, però, non ha dato i suoi frutti, se è vero com’è vero che Lucano, alle amministrative del 26 maggio, non è riuscito a guadagnare nemmeno un posto in Consiglio. E proprio su questa base, lo scorso 8 giugno, aveva presentato l’ennesima richiesta di revoca della misura cautelare. Nulla da fare, però. Con questa notizia ancora fresca, l’assedio dei giornali e un centinaio di manifestanti davanti al palazzo di Giustizia, in una Locri blindata come nemmeno per i maxi processi di ‘ndrangheta, Lucano ha assistito all’apertura del dibattimento. Un’udienza interlocutoria, durante la quale i legali degli imputati hanno sollevato eccezioni circa l’indeterminatezza dei capi d’imputazione e la nullità del decreto di rinvio a giudizio giudizio, in quanto alcuni degli imputati sono stati sentiti fuori dal termine di notifica dell’avviso di chiusura delle indagini. Un punto sul quale già il gup si era espresso negativamente e sul quale il collegio si pronuncerà alla prossima udienza, calendarizzata il 17 giugno. Il processo, dunque, formalmente non può dirsi ancora aperto, anche se incassa giù una certezza: la costituzione di parte civile del Viminale e della Prefettura di Reggio Calabria. Ma la sensazione per Lucano, accolto dalle note di “Bella Ciao” e inni al suo nome, è che questo processo abbia anche un’anima politica. Non si tratterà, dunque, solo di un accertamento delle responsabilità penali di tutta la macchina dell’accoglienza di Riace, sarà anche un processo all’idea stessa, al sistema studiato in tutto il mondo ed emulato, prima spolpato dal Viminale, poi affossato dallo stesso ufficio. «Sono sereno, d’altronde non esiste altra soluzione - ha esordito Lucano in piazza Fortugno a Locri - Qualsiasi cittadino può incorrere in un reato, ora il processo stabilirà da che parte sta la verità». È emozionato, schiacciato tra la sua esaltazione e la sua demonizzazione, mentre cerca di porre l’accento sulle idee. Che, ha spiegato senza scostarsi di un millimetro dalle dichiarazioni di una vita intera, non cambiano, né muoiono. Rimane l’amarezza per l’impossibilità di mettere piede a Riace, dalla quale si trova lontano dal 16 ottobre, escluse le ore concesse per l’ultimo comizio e per il voto. «È come subire la pena prima del processo - ha evidenziato - Ma sono consapevole che ci sono tante persone che hanno subito e subiscono cose più gravi. Così come so che ci sono tantissime persone in tutta Italia che sono solidali e non mi fanno sentire solo». Ma è anche una questione di condivisione di ideali, pure politici. «È inutile negarlo - ha evidenziato - non dico che sia un processo politico, ma la politica c’entra molto. Io ho fatto una scelta da sindaco: essere vicino alle persone che non hanno voce e immaginare ogni giorno una società umana e non disumana». Il sistema Riace andrà avanti, ha assicurato, quasi come un obbligo morale. «Non saprei vivere lontano dall’impegno sociale e politico - ha spiegato - ma non necessariamente occupando dei ruoli. La storia di Riace è iniziata molto prima che diventassi sindaco e ho dimostrato di non volere poltrone. Si può ripartire anche con la convinzione delle proprie idee, semplicemente da persona normale». Nella giustizia, ha assicurato, crede ancora, anche in questo caso come se fosse un obbligo. «Se si perde questa speranza non ha senso nulla. A volte è come se la giustizia fosse più vicina alle categorie sociali che hanno più possibilità - ha sottolineato - Io non sono nulla». Per spiegare l’esito delle elezioni, che ha visto la sua lista uscire sconfitta, nonostante l’accoglienza abbia portato Riace al centro del mondo, Lucano ha usato un’immagine di Vauro: una corazzata che si è abbattuta su un gommone carico di rifugiati. «È da tanto tempo che ci sono queste oppressioni continue, da tante angolazioni - ha sottolineato - Io credo avessimo fatto quasi un miracolo e che Riace abbia dimostrato che quell’equazione sulla quale si fonda il dibattito politico che vuole l’immigrazione e l’accoglienza uguali a drammi sociali, problemi, invasione ed emergenza non è vera. Quello che sta succedendo è la vera emergenza umana, come ha detto il Papa. Quando si chiudono i porti per gli esseri umani e si lasciano aperti per le armi allora è un mondo alla deriva». Le accuse contestate dalla procura di Locri sono, a vario titolo, associazione a delinquere, truffa con danno patrimoniale per lo Stato, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Accuse messe fortemente in discussione dal gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, che aveva ritenuto fondate le esigenze cautelari solo per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per la frode, evidenziando comunque «i fini umanitari» nell’azione di Lucano, ma anche dalla Cassazione, che a fine febbraio ha annullato con rinvio le misure cautelari che da ottobre lo tengono lontano dalla sua Riace. E nel farlo i giudici hanno evidenziato la carenza di fatti concreti a sostegno dell’accusa di frode e del condizionamento nella scelta del soggetto a cui affidare la raccolta dei rifiuti. La sfiducia, in Lucano, si nota solo quando si parla delle misure cautelari. «Non voglio più chiedere che venga revocata - ha spiegato - perché è come chiedere l’elemosina. Alla fine sono comunque una persona libera. Quello che non accetto, però, è la denigrazione morale del messaggio politico che rappresento. C’è chi vuole distruggere questo messaggio, quello della sinistra autentica che non accetta compromessi, che non accetta poltrone e persegue un grande ideale di giustizia sociale, uguaglianza. E allora diventa pericoloso».   (Foto di Gianluca Palma)