Domanda: «Volevo sapere se c’è traccia del fatto che lui tenesse a mantenere questi soggetti per lo specifico fine prevalente di avvantaggiare a se stesso, quale rappresentante sostanziale di Città Futura e gli altri che lavoravano». Risposta: «Se parliamo da un punto di vista economico, no». Il dialogo riportato è quello tra Fulvio Accurso, presidente del Tribunale di Locri, e Nicola Sportelli, colonnello della Guardia di Finanza, principale teste dell’accusa contro gli imputati del processo “Xenia”, che si è concluso con una condanna, tra le altre, per l’ex sindaco di Riace Domenico Lucano a 13 anni e 2 mesi. Uno scambio illuminante, che evidenzia con chiarezza come nessun tornaconto economico sia stato mai ipotizzato persino da chi ha compiuto le indagini sul campo, analizzando documenti e fatture, e che in questa fase del processo - la testimonianza è datata 24 settembre 2019 - sembra anche far traballare l’accusa di associazione a delinquere, contestata a quattro imputati su 27, ma riconosciuta dai giudici a sette. Accurso - che molto spesso durante il processo si è chiesto come mai sul banco degli imputati non fossero seduti anche i funzionari della prefettura e ha contraddetto e bacchettato l’accusa, salvo poi ritenere i reati contestati più gravi di quanto fatto dalla procura - vuole sapere se il fine dell’azione di Lucano fosse quello di «creargli un vantaggio patrimoniale, perché è questo che emerge nel capo di imputazione». Ma Sportelli esclude categoricamente tale circostanza: «No, no», risponde, ribadendo quanto detto poco prima. Insomma, in tasca non avrebbe messo nulla. Ma il giudice non si accontenta di una risposta secca e va avanti. «Siccome la fattispecie che io ho contestato è strutturata in maniera concorsuale - continua il presidente del collegio -, cioè, che significa, che più soggetti unitamente tra di loro operavano per un unico fine collettivo, che era quello di raggiungere intenzionalmente un vantaggio di tutti, non soltanto proprio...». Ovvero un’associazione a delinquere, accusa che il gip Domenico Di Croce aveva ritenuto priva di fondamento, ma comunque sostenuta dalla procura, tanto da portarla in aula. Per Sportelli la distinzione è chiara: il vantaggio in questione, specifica, «non è economico», si tratta, invece, di «un discorso di vantaggio politico». Insomma, tutti gli associati avrebbero agito per avvantaggiare politicamente Lucano, dal momento che nessuno di loro faceva parte della compagine amministrativa guidata dall’ex sindaco. Nel corso del processo, però, sono emerse fratture e contrapposizioni tra le varie associazioni impegnate nell’accoglienza, un tutti contro tutti che cozza con l’idea di un’associazione a delinquere. E Accurso, infatti, insiste: «Volevo capire una cosa, se sono emersi dagli scampoli che avete tratto delle intercettazioni ambientali, perché ho capito che voi non avete intercettato nessuno dei rappresentanti legali, se è emerso che c’era un accordo collettivo, congiunto, un remare assieme dice “operiamo in questa maniera, perché così ci arricchiamo tutti“ cioè emerso questo dato?», chiede a Sportelli. Che ancora una volta ribadisce due volte il suo no. «Aveva consapevolezza se questa finalità era espressione di un tutto, cioè “io faccio la mia parte che si aggiunge a quella di un’altra di cui sono consapevole, per la quale contribuisco“ e così via. C’era questa…», va avanti Accurso. E ancora una volta Sportelli è lapidario: «No, presidente…». In un’altra fase del processo, è Sportelli a parlare di una “struttura” composta da quattro persone, della quale Lucano sarebbe stato a capo, con l’aiuto di tre imputati, Fernando Capone (condannato a 9 anni e 10 mesi), Cosimina Ierinò (8 anni e 10 mesi) e Jerry Tornese (6 anni). E ancora una volta evidenzia come il progetto sia nato con «fini nobili» e come lo stesso Lucano non si sia arricchito. Vantaggio politico, dunque. Lucano, però, non ha mai tentato l’ascesa politica. Si è limitato a fare il sindaco in un paesino poco più di duemila anime, con lo scopo ultimo (e sempre pubblicamente dichiarato) di fare accoglienza, evitando di correre per le regionali (lo ha fatto soltanto in questa tornata elettorale, raccogliendo quasi 10mila preferenze), per le politiche e per le europee, nonostante le offerte provenienti dal mondo della sinistra. Durante il processo è emerso anche altro. Capone, infatti, è considerato un associato di Lucano nonostante proprio dalle intercettazioni risulterebbe il timore dell’ex sindaco che lo stesso rappresentante legale di Città Futura - la principale associazione dell’accoglienza a Riace - potesse tenere per sé il frantoio restaurato con i fondi dell’accoglienza e destinato sempre al progetto di integrazione dei migranti. Da qui la volontà di cambiare i legali rappresentanti dell’associazione ed evitare tale rischio. Da questa sfuriata captata dalle cimici della finanza - e posta alla base della contestazione relativa all’accusa principale, all’esito del giudizio, quella di peculato - la procura ha dedotto che l’intervento di Lucano non fosse finalizzato a preservare quanto costruito con l’accoglienza per l’accoglienza stessa, ma a sostituirsi a Capone in questa volontà appropriativa. Il perché di questo percorso logico lo spiegheranno le motivazioni.