Con il decreto Milleproroghe del 2022 il governo ha inteso protrarre le disposizioni emergenziali per il funzionamento della macchina giudiziaria fino alla data del 31 dicembre 2022. «Ciò che ha dell’incredibile — ci dice Eriberto Rosso, segretario dell’Unione Camere penali — è che mentre le disposizioni prorogate facevano riferimento alla necessità di contenere il rischio pandemico anche nel mondo giudiziario, dunque processi celebrati in camera di consiglio, contraddittorio cartolare come regola nei processi di appello e cassazione, partecipazione a distanza dei detenuti, riduzione delle cause in trattazione secondo le linee guida dei capi degli uffici giudiziari, riduzione dell’orario di apertura delle cancellerie e quant’altro, la decisione di prolungare questi meccanismi è stata invece motivata sul piano dell’efficienza. Come dire: già che ci siamo, limitiamo prerogative e garanzie della difesa così il sistema è più efficiente!». Uno dei problemi maggiori è che così si continuerà a celebrare anche meno processi: «La proroga delle norme emergenziali comporta che i capi degli uffici giudiziari, in base ad una valutazione discrezionale, che però era vincolata alla situazione sanitaria, potranno continuare a stabilire un numero minore dei ruoli di udienza. Quindi sì, il rischio è che si continuino a celebrare un numero limitato di processi. Noi invece chiediamo che si ritorni a regime con fissazioni di cause in numero ragionevole, ovviamente compatibile con l’espletamento ordinato di tutte le attività dibattimentali». Comunque la denuncia dell’Ucpi « ha trovato riconoscimento in Parlamento, tant’è che con la legge di conversione del decreto Milleproroghe si è previsto che dal 1° aprile le persone detenute partecipino in presenza ai processi che li riguardano ma, sul resto, si è fatto orecchio da mercante. Ecco perché l’avvocatura continua la propria mobilitazione per ripristinare tutte le garanzie che debbono caratterizzare il processo e non consentire che regole giustificate dalla emergenza sanitaria diventino ordinarie». Il Parlamento un primo impegno lo ha preso, con un ordine del giorno di Enrico Costa (Azione) votato non solo dalle forze della maggioranza per verificare le condizioni per revocare, dopo il 31 marzo 2022, anche le norme che consentono le camere di consiglio “da remoto”, cioè senza la contemporanea presenza fisica dei giudici nel medesimo luogo. «Per noi questo è un passaggio assolutamente decisivo - prosegue Rosso -. È inaccettabile che la camera di consiglio non si svolga in presenza, unica condizione per garantire la collegialità. Quanto alla partecipazione “a richiesta” alle udienze nelle cause di appello e in Cassazione, questa ha rappresentato un passo avanti rispetto alle posizioni dei tanti che volevano limitare tutti i giudizi di impugnazione alla sola forma scritta e ha consentito di difendere oralità e immediatezza, componenti essenziali del contraddittorio». È pur vero che un certo numero di difensori non chiede la trattazione orale nei procedimenti. Come ha detto lo stesso Presidente Caiazza in un recente evento, « noi scegliamo la soluzione cartolare sette volte su dieci». Del resto, prosegue Rosso, « anche prima delle norme emergenziali erano invalse prassi per le quali vi erano difensori che, magari su sollecitazione del presidente del Collegio, dichiaravano preliminarmente di riportarsi ai motivi dell’atto di impugnazione, così rinunciando a discutere la causa. È invece necessario che il difensore partecipi ogniqualvolta ritenga utile il contributo della sua discussione». Peraltro, «come recentemente ribadito in un importante dibattito in seno al Consiglio delle Camere penali, è necessario prevedere la trattazione orale a richiesta anche per i ricorsi aventi ad oggetto le misure di prevenzione. Nella stessa Commissione Lattanzi, del resto, erano state prospettate ulteriori situazioni meritevoli della richiesta di trattazione orale, anche se il testo definitivo non ha ritenuto di accogliere quelle indicazioni. Vedremo quali spazi si apriranno con la decretazione di attuazione. Noi insisteremo con le nostre proposte che mirano all’effettività delle regole dell’accusatorio, effettività che non è certo incompatibile con un processo celebrato in tempi ragionevoli».

CANCELLERIE INESPUGNABILI: LA PRIMA BRECCIA APERTA DALLA CAMERA PENALE DI ROMA

Ma i problemi non finiscono qui perché, come ha ricordato la presidente del Cnf Maria Masi, occorre «soprattutto garantire il libero accesso alle cancellerie ». Si tratta di un problema molto sentito anche dall'Unione Camere penali. Proprio il presidente dei penalisti romani, Vincenzo Comi, ci racconta che « ha sollecitato al presidente del Tribunale di Roma la riapertura delle cancellerie, senza che venga però pregiudicata la possibilità del sistema degli appuntamenti, che si è dimostrata utile in questo periodo». Il nocciolo della questione, spiega l’avvocato Comi, è che «bisogna assicurare i diritti delle persone che sono accusate. In tale scenario l’organizzazione del processo rappresenta altresì una modalità di esercizio del diritto della difesa. Perciò deve essere assicurato che l’avvocato possa andare in tribunale e accedere liberamente alle cancellerie». Dunque, grazie a una ferma opposizione della Camera penale di Roma allo status quo, il presidente del Tribunale di Roma ha emanato pochi giorni fa una nota secondo la quale la cancelleria tornerà a funzionare come avveniva prima del Covid. In particolare: si potrà accedere senza prenotazione dalle 10 alle 12 dal lunedì al venerdì e con prenotazione dalle 9 alle 10 e dalle 12 alle 13. «Si tratta di un primo risultato - conclude Comi - fermo restando che tra due mesi andremo a fare una valutazione di come stanno andando le cose».