Nel giorno in cui chiede la sua riconferma alla Presidenza dell’Unione delle Camere Penali, Gian Domenico Caiazza accende la platea riunita all’Hotel Ergife sul tema dei magistrati fuori ruolo, uno dei punti cardini delle proposte di riforma avanzate in un lungo documento di 34 pagine e una delle più osteggiate dalla magistratura: «La preponderante ingerenza del potere giudiziario negli ambiti propri del potere legislativo e del potere esecutivo, e più in generale l’incontrollabile potere condizionante che il primo esercita, grazie a strumenti normativi di micidiale e devastante forza, sulla vita economica e finanziaria del Paese, costituisce una anomalia unica al mondo, che è sotto gli occhi di tutti. Non abbiamo più solo pubblici ministeri (e gip di complemento) che decidono, ormai da decenni, la sorte di governi, amministratori pubblici in carica o candidati ad esserlo, e di interi partiti politici. Abbiamo anche pubblici ministeri che, utilizzando senza remore visibilità mediatiche che già non dovrebbero appartenere loro, si adoperano pubblicamente perché leggi non gradite non vengano approvate dal Parlamento, senza farsi scrupolo nemmeno per un attimo di additare alla pubblica opinione ministri, governi e maggioranze parlamentari come fiancheggiatori, più o meno inconsapevoli, delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Questo progetto di deliberato condizionamento del potere legislativo e di quello esecutivo da parte del potere giudiziario, tuttavia, non avrebbe probabilmente avuto la forza sufficiente per radicarsi con l’efficacia micidiale che gli conosciamo, se non avesse potuto contare su un fenomeno unico nel panorama mondiale, ma che da noi rappresenta una consolidata prassi istituzionale: il sistematico distacco di centinaia di magistrati presso l’esecutivo, mediante l’occupazione delle funzioni e delle cariche strategiche, in particolare e per quello che più ci interessa, del ministero di Giustizia. In nessun’altra democrazia occidentale accade qualcosa di anche solo paragonabile ad un simile scempio dei più basilari equilibri democratici; e ciò che più colpisce è la protervia con la quale ciò continua ad avvenire pur in presenza della più clamorosa e devastante crisi di credibilità della magistratura italiana in tutta la storia repubblicana». Per questo si legge nel programma di Caiazza occorre «porre fine all’inconcepibile fenomeno - unico nel mondo occidentale - della messa fuori ruolo e del distacco di centinaia di magistrati presso l’esecutivo, e segnatamente presso il ministero di Giustizia. Oltre cento magistrati distaccati solo in via Arenula ad ogni formazione di un nuovo Governo rappresentano non certo un contributo di esperienza e di know how tecnico giuridico, quanto piuttosto una occupazione che definirei militare da parte del potere giudiziario dei gangli vitali del Dicastero responsabile della politica giudiziaria del Paese, nonché - non dimentichiamolo! - della titolarità dell’azione disciplinare sulla magistratura inquirente e giudicante. Devo ancora citare la esperienza raccontata dal dott. Luca Palamara, il quale ci ha fornito dettagliata ed incontrovertibile testimonianza di quanto febbrile suole essere l’impegno della magistratura associata, in un frenetico gioco di equilibri politici e correntizi, nell’organizzare puntualmente un autentico presidio tecnico e politico intorno al ministro Guardasigilli di volta in volta nominato, soprattutto quando ad essere nominato - egli sottolinea - dovesse essere un avvocato. Non vi è nessuna plausibile ragione al mondo per la quale i vertici del Gabinetto del ministro o dell’ufficio legislativo o dell’Ufficio ispettivo debbano essere dati in appalto alla magistratura, cioè ad altro potere dello Stato, sottraendo per di più energie preziose ad una giurisdizione già in cronico sottorganico. Il testo della nostra proposta di legge di iniziativa popolare dovrà porre fine a tale anomalia, prevedendo che quei ruoli siano riservati a personale amministrativo di carriera, manager pubblici, docenti universitari all’uopo distaccati, e più in generale a giuristi non appartenenti al potere giudiziario, se non in limitatissimi e ben delineati ruoli, in ogni caso meramente consulenziali». Sono stati molti altri i punti programmatici di Caiazza: separazione delle carriere, valutazioni di professionalità, riforma dei consigli giudiziari. Inoltre, come anche denunciato da questo giornale con un editoriale del direttore e successivamente da Gaetano Pecorella, anche per il presidente Caiazza c'è stata «la progressiva marginalizzazione del Parlamento dai processi decisionali. Si tratta di una deriva antidemocratica che data da anni, e che non riguarda certo solo i temi della Giustizia. Sta di fatto che le scelte legislative più importanti, ed anche quelle di medio rilievo, sono dell’esecutivo, e giungono in Parlamento con dibattiti silenziati dai voti di fiducia. Una democrazia parlamentare che vive ormai sistematicamente grazie al silenziamento del Parlamento è la negazione della democrazia, a prescindere dalla occasionale contingenza - penso proprio alla riforma Cartabia - che può anche renderlo utile quando non addirittura necessario. Questo Paese deve rimettere al centro della propria vita democratica il Parlamento: dal Congresso dei penalisti italiani, dai giuristi liberi ed appassionati che noi siamo, deve giungere forte e chiaro al Paese questo grido di allarme».