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Il tribunale di Venezia, rigettando il ricorso di un richiedente protezione umanitaria, ha negato la rilevanza delle torture subite nei centri libici. Invece, secondo la Cassazione che ha accolto il ricorso avverso alla decisione, i giudici avrebbero dovuto valutare l’esperienza vissuta in Libia.Parliamo dell’ordinanza numero 23355 del 24 agosto scorso. La vicenda riguarda un cittadino della Repubblica di Guinea, il quale - difeso dall’avvocato Francesco Tartini - ha adito il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, a seguito del rigetto da parte della Commissione territoriale di Verona, sezione di Treviso, della sua domanda di protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione umanitaria. A sostegno della domanda, il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il proprio Paese per il timore di ammalarsi di ebola, avendola contratta il cugino.Il ricorso del cittadino guineano è articolato in tre motivi. I primi due motivi, unitariamente trattati dal ricorrente, denunciano il primo erronea applicazione dell'art. 5, comma 6 del d.lgs. 286/1998 e il secondo omesso esame di un fatto decisivo, in relazione ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Si contesta al Tribunale, sotto il profilo dell'erronea applicazione di legge e dell'omesso esame di un fatto decisivo, di non avere considerato la grave emergenza umanitaria, e la situazione socio-economica, in cui si è venuta a trovare la Guinea a seguito dell'epidemia di ebola. Il terzo motivo fa valere la «violazione o falsa applicazione degli artt. 5, comma 6 del d.lgs. 286/1998, 2, lettera h) bis del d.lgs. 25/2008, 17 d.lgs. 142/2015, 8, comma 3 e 3-bis d.lgs. 25/2008 per la dedotta irrilevanza dell'esperienza subita in Libia dal ricorrente, il mancato riconoscimento della sua vulnerabilità e il mancato accertamento delle effettive conseguenze, sul piano psico-fisico delle violenze subite». Ed è il terzo motivo che, secondo la Cassazione, è fondato. A fronte dell'allegazione da parte del ricorrente delle torture subite durante l'incarcerazione in Libia, provate dall'esistenza di cicatrici, descritte da un certificato medico, il Tribunale ha negato la rilevanza delle vicende «vissute in Libia, in assenza di conseguenze attuali sulla salute e sulla persona del ricorrente», avendo questi «esclusivamente delle cicatrici». Per la Cassazione, il Tribunale non ha considerato che il richiamato art. 2, lettera h) bis del d.lgs. 25/2008 (nella formulazione introdotta dal d.lgs. 142/2015) definisce quali persone vulnerabili quelle per le quali è accertato che hanno subito torture o altre forme gravi di violenza.Nell’ordinanza, la Cassazione sottolinea che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, a incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona. L'accoglimento del terzo motivo comporta l'assorbimento dei primi due. «Il provvedimento impugnato va pertanto cassato in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata al Tribunale di Venezia; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio», conclude l’ordinanza della Cassazione.