«Alla luce della sentenza pronunciata dal gip di Roma vorrei ribadire, come già fatto dinanzi ai giudici e ai pm, la mia estraneità ai fatti e al reato contestato, in relazione al quale nessuna prova è stata fornita dalla pubblica accusa bensì una mera interpretazione dei fatti che risulta a mio avviso, e secondo la mia ricostruzione, smentita dai dati fattuali». A parlare al Dubbio, e per la prima volta, è l'avvocata Lucia Gargano che lo scorso 4 giugno è stata condannata a sei anni e otto mesi con rito abbreviato, per concorso esterno in associazione mafiosa.

Alla professionista vengono addebitate diverse condotte, tra cui l'aver partecipato a un incontro il 13 dicembre del 2017 per siglare una pax mafiosa ad Ostia tra il clan Spada, che aveva subìto tre atti intimidatori, e il gruppo capeggiato da Marco Esposito, detto Barboncino, rappresentato da Fabrizio Piscitelli, ucciso poi da un misterioso killer. Secondo i pm Ilaria Calò, Giovanni Musarò e Mario Palazzi, che avevano chiesto nove anni di carcere come pena, l'avvocata Lucia Gargano era un “fondamentale trait d’union tra Carmine Spada detto “Romoletto” e Piscitelli'.

«Attendo di leggere le motivazioni - prosegue Gargano - di questa sentenza che è stata per me del tutto inaspettata, in quanto ha riconosciuto una mia agevolazione nei confronti di soggetti con cui non ho mai avuto rapporti personali né tantomeno un mandato professionale a difenderli». Quello che tuttavia emerge dalle carte dell'accusa è un quadro probatorio pesante, ma l'avvocata Gargano si difende: «Il pranzo del 13 dicembre non era un summit e neppure i presenti a quel tavolo, che non conoscevo, sapevano che mi sarei fermata; addirittura solo dopo le presentazioni hanno capito che ero un avvocato. L'unica ragione della mia presenza era l'acquisizione di un incarico professionale dal mio assistito Fabrizio Piscitelli, dato da me provato ed emerso chiaramente dall'analisi dell'intercettazione integrale, ma ignorato dall'accusa perché non funzionale alla loro ricostruzione».

Tutto l'impianto accusatorio si basa infatti sulle intercettazioni effettuate dalla Guardia di Finanza, tramite un loro agente infiltrato, in quel famoso pranzo a Grottaferrata del dicembre 2017. «L'accusa sostanzialmente si fonda su singole frasi estrapolate dal contesto - prosegue Gargano - e assolutamente incerte nella loro ricostruzione, considerate anche le difficoltà dell'ascolto in quanto il pranzo avveniva in un ristorante ove erano presenti anche tanti altri clienti, con tutti i rumori di fondo determinati dall'ambiente circostante».

Noi vi avevamo parlato del caso perché l'arresto della Gargano era avvenuto praticamente in diretta televisiva; insieme agli agenti erano arrivate presso la sua abitazione anche le telecamere e il video fu mostrato a ' Non è l'Arena', il programma condotto da Massimo Giletti su La7. «Ho vissuto serenamente tutta questa situazione conclude Gargano - sperando che la procura stessa chiarisse la mia posizione, ma devo dire che il tutto è stato reso più difficile dal morboso interesse mediatico, tanto che alcuni giornalisti mi hanno raggiunta perfino a casa dei miei genitori pur se nessuno era a conoscenza di dove mi trovassi». Chi ha passato loro l'indirizzo di casa? Possiamo solo immaginarlo. Lucia Gargano è assistita dagli avvocati Alessandro De Federicis e Valerio Spigarelli che ci dice: «Siamo convinti che la Gargano non debba affatto rispondere del reato contestato; siamo pronti ad impugnare quando ci saranno le motivazioni della sentenza con cui ci dobbiamo confrontare».