Che sarebbero stati loro due i protagonisti della partita sulla giustizia era chiaro. Così ieri mattina Alfonso Bonafede e Andrea Orlando hanno rotto gli indugi, si sono visti a via Arenula e hanno dato «avvio» a un «tavolo di confronto per un’analisi congiunta dei provvedimenti». Un’analisi che «si concluderà entro settembre». Dal ministero della Giustizia trapela, di fatto, solo questo. Oltre alla già nota, comune «consapevolezza» della necessità di una «drastica riduzione dei tempi del processo civile e penale».

Bonafede tiene a far sapere che si è trattato di un colloquio «cordiale e costruttivo». Mentre Orlando non aggiunge altro alle parole del suo successore.

In realtà la scelta di mettere subito sul tavolo i temi, che sono un’infinità, non è casuale. Non lo è neppure il fatto che l’attuale ministro della Giustizia e il suo predecessore siano riusciti a trovare il tempo per un incontro durato ben due ore anche in un giorno caldissimo sul versante sottosegretari. Perché se il «clima» è stato subito positivo, le distanze sono profonde. Non su tutto. Ma in alcuni casi sono destinate a non essere risolte entro la fine del mese.

Innanzitutto la prescrizione: sullo stop dopo il primo grado Orlando ha ribadito tutta la preoccupazione, sua e del Pd. Innanzitutto per ragioni legate proprio a quella «rapidità» che sia i dem sia il Movimento 5 Stelle hanno voluto richiamare nel programma. Nel partito di Zingaretti e Orlando è radicata la convinzione che la possibilità di avere tempi illimitati dopo la pronuncia di primo grado indurrà le Procure a non selezionare più i fascicoli in base a una realistica possibilità di arrivare a sentenza definitiva. Manderanno avanti tutto, o quasi. E in appello finirà per crearsi un ingorgo sovrumano.

Ma Orlando non ha mancato di segnalare anche l’inevitabile compromissione delle «garanzie», che l’avvocatura continua a denunciare. È pericoloso lasciare gli imputati, a maggior ragione chi in primo grado è assolto, esposti al rischio di restare perennemente sotto processo: il predecessore di Bonafede al ministero di via Arenula ha ricordato anche questo. E ha segnalato la necessità di prevedere, intanto, ulteriori «finestre di controllo giurisdizionale» sull’operato dei pm. In modo da evitare che inchieste formalmente “al buio” servano in realtà per raccogliere elementi sui futuri indagati senza consumare i termini delle indagini. È una delle previsioni con cui il Pd vorrebbe integrare il ddl Bonafede.

Un testo sul quale Orlando ha ribadito la condivisione per le parti relative al processo civile e alla fine delle “porte girevoli” tra magistratura e politica. Ma come per il nodo prescrizione, resta più cautela sul Csm, in particolare per il sorteggio con cui individuare i magistrati candidabili a Palazzo dei Marescialli. Una scelta che continua a trovare Orlando piuttosto critico. E tra i dossier che saranno approfonditi nei prossimi, ravvicinati incontri, c’è anche il decreto intercettazioni. Il vicesegretario pd ne è l’autore. Bonafede vorrebbe modificarne alcune parti. La maggiore difficoltà riguarda le norme che limitano pm e gip nel citare i brogliacci all’interno di richieste e ordinanze cautelari: nel suo testo, Orlando prevede che sia consentito il richiamo solo dei “brani essenziali”.

Non è uno snodo insormontabile. Forse non lo sarà neppure la prescrizione. Anche se su quella norma, destinata a entrare in vigore dal 1° gennaio proprio come le intercettazioni, la partita è ancora tutta da giocare.