Chi stamattina ha sfogliato il Dubbio solo per cercare una nota di compiacimento e soddisfazione per la notizia del rinvio a giudizio di Piercamillo Davigo sarà rimasto deluso. Su questo giornale mai nessuno ha esultato per l'arresto o il semplice sputtanamento di qualcuno. Nemmeno se a finire nel tritacarne mediatico è chi, come l'ex pm di Mani Pulite, incarna un'idea “manettocentrica” della giustizia, distante anni luce dalla nostra.

Per noi Davigo, rinviato a giudizio a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione ai verbali nei quali Piero Amara parlava della Loggia Ungheria, resta innocente fino a prova contraria. E ci auguriamo che sia in grado di chiarire la sua posizione a processo. Saranno altri giudici a stabilire - e solo dopo tre gradi di giudizio se le sue condotte furono legittime o no. Perché non importa sapere a quanti consiglieri del Csm e segretarie Davigo ha mostrato i verbali ricevuti dal pm Paolo Storari, né scoprire se è vero o meno che persino il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Nicola Morra, fu reso edotto del contenuto di quei documenti secretati in un sottoscala.

Un Tribunale deve solo stabilire se c'è reato o no. Giudicare l'opportunità “politica” di un comportamento non compete alla giustizia. La moralizzazione di un Paese non può passare dalle mani di un potere dello Stato, la pubblica accusa, autoproclamatosi ontologicamente superiore a tutti gli altri poteri concorrenti sulla base di una presunzione. Non basta gettare fango davanti al ventilatore per chiudere un processo. Servono le prove. Solo quelle è tenuto a cercare un pm. Persino quelle a discolpa dell'imputato.

«Non esistono innocenti ma solo colpevoli che l'hanno fatta franca», diceva Davigo fino a poco tempo fa. Speriamo abbia cambiato idea nel frattempo. E speriamo abbia cambiato idea pure sull’ «orda inutile degli avvocati», ora che anche lui avrà bisogno di una difesa in un’aula di Tribunale, non per “ingolfare” la giustizia ma per esercitare un diritto costituzionale.