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Gli avvocati, quando svolgono prestazioni professionali in cui esiste un rapporto di intuitu personae con il cliente, forniscono un servizio che non è regolabile dalle direttive in materia di appalti pubblici. A stabilirlo in una sentenza è la Corte di giustizia dell’Unione Europea, nella causa 264/ 18 che ha ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte costituzionale del Belgio, in merito alla validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva sugli appalti pubblici 2014/ 24/ Ue.
La questione è stata sollevata da un gruppo di avvocati, che riteneva che «tali disposizioni, poichè hanno l’effetto di sottrarre l’attribuzione dei servizi ivi previsti dalle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, creano una differenza di trattamento che non può essere giustificata».
La sentenza analizza le esclusioni specifiche per gli appalti di servizi previste dalla direttiva Ue e dalla legislazione belga ( la normativa esclude i «servizi di arbitrato e di conciliazione», «i servizi di rappresentanza legale di un cliente» «in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno stato membro o internazionali» ; «la consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti» ) e prende posizione rispetto al quesito se tali esclusioni «siano conformi al principio di parità di trattamento, atteso che i servizi ivi menzionati sono esclusi dall’applicazione delle norme di aggiudicazione, che garantiscono peraltro la piena concorrenza e la libera circolazione nell’acquisto di servi ad opera della pubblica amministrazione».
In proposito, la Corte ha stabilito che «il legislatore dell’Unione ha tenuto conto del fatto che tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone designati o selezionati secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in determinati Stati membri». Non solo, ha anche sottolineato come l’articolo 10 della direttiva «non esclude dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma unicamente la rappresentanza legale del suo cliente» nell’ambito di procedimenti dinnanzi a giudici o istituzioni e delle consulenze legali fornite nell’ambito della preparazione dei procedimenti.
La ragione dell’esclusione di queste prestazioni è che «si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza», un rapporto che è «caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato» e che dunque «rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare». Inoltre, ha notato la Corte, «la riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, tanto nel salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato, potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni».
Le conclusioni a cui giungono i giudici europei, dunque, sono di confermare la correttezza della direttiva europea, in quanto i servizi legali indicati nell’articolo 10 «non sono comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva medesima» e dunque non sussiste alcuna violazione del principio di parità di trattamento.
«Si tratta di una sentenza importantissima, perchè conferma la bontà dei principi contenuti nelle direttive in materia di appalti pubblici e soprattutto ribadisce che queste non si applicano con riferimento ai mandati difensivi che si caratterizzano per l’intuitu personae», ha commentato professor Fabio Cintioli, ordinario di diritto amministrativo all’Università degli Studi Internazionali di Roma e alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione. «I giudici europei hanno sottolineato che queste prestazioni sono caratterizzate da un rapporto di fiducia di carattere professionale, che mal si adatta a un meccanismo di gara», ha aggiunto, sottolineando come «la direttiva è ragionevole, in quanto conferma che prestazioni con carattere seriale o aziendale vengono messe a gara, mentre esclude quelle caratterizzate dal rapporto fiduciario».
Sul piano dei principi generali, la sentenza fissa anche una serie di direttrici chiare, in particolare quella secondo cui «il diritto europeo non impone vincoli nella scelta dell’avvocato difensore, tenendola dunque fuori dagli obblighi del procedimento di gara». Un principio, questo, che però in Italia è parzialmente contrastato dalle linee guida Anac in materia di appalti pubblici. L’Autorità Anticorruzione, infatti, prevede nelle proprie linee guida che le amministrazioni che intendano affidare ad avvocati incarichi anche di natura giudiziale debbano adottare un procedimento comparativo di gara in quanto, secondo Anac, «non possono essere affidati come se si trattasse di un incarico intuitu personae, (...) dovendo invece seguire alcune regole minime».
Tale scelta, avversata dal Consiglio Nazionale Forense sia in sede di parere, si pone in contrasto dunque con la giurisprudenza europea: «Saremmo l’unico paese dell’Unione con principi di diritto nazionale diversi rispetto ai quelli comunitari», ha chiarito Cintioli. A proposito della potenziale influenza di questa sentenza sulla posizione di Anac, il professore ha aggiunto come «l’autorità dovrebbe interrogarsi ulteriormente su come sia possibile che il principio dell’intuitu personae valga in tutta Europa e non in Italia, per di più in una materia come quella degli appalti, dominata dal diritto europeo».