I nuovi schiavi, clandestini e prigionieri del lavoro nero
Da un’inchiesta della procura di Prato su una presunta truffa per la produzione di tute mediche anti covid, illecitamente subappaltato ad aziende cinesi, è emerso un grave sfruttamento di manodopera irregolare
Privi di diritti, lavorano senza nemmeno un giorno di ferie o festivo, vivono in dormitori sovraffollati e degradati. Una condizione, di fatto, dove la libertà viene privata. È ciò che emerge da un uno dei tronconi dell’inchiesta condotta dalla procura di Prato sulla presunta truffa condotta da un consorzio romano in merito alla produzione di milioni di tute protettive mediche anti covid che avrebbe illecitamente subappaltato ad aziende cinesi. Ed è lì che gli ispettori del lavoro hanno scovato un grave sfruttamento della manodopera clandestina, aprendo ancora una volta uno squarcio sulle condizioni disumane e degradanti dei lavoratori più vulnerabili e dove talune aziende cinesi, attraverso lo sfruttamento della manodopera, dimostra di riciclarsi anticipando i tempi in base alle emergenze.
Il caso di Prato è emblematico di una situazione diffusa in tutto il Paese
Il risultato è che in Italia ci sono realtà lavorative che imprigionano, di fatto, la manodopera più vulnerabile, spesso invisibile perché in nero e privi di permesso di soggiorno. Quindi più ricattabili. Il caso di Prato è emblematico perché gli ispettori del lavoro hanno scoperto che il dirigente cinese dell’impresa ha avuto tutti impiegati a nero, anche alloggiandoli presso i locali dormitorio al fine di garantirsi un continuo controllo dei dipendenti. In questa maniera potevano rimanere perennemente disponibili. Parliamo di manodopera soprattutto pakistana e africana, privi di stabili legami familiari, con scarsa comprensione della lingua italiana e limitato processo di integrazione socio culturale. Condizioni che li inducono ad accettare le condizioni imposte unilateralmente dai datori di lavoro. Nel caso specifico cosa hanno trovato gli ispettori del lavoro? Retribuzioni mensili corrisposte in modo irregolare, in violazione dei tempi prescritti dalla contrattazione collettiva e in contanti con modalità di accredito non consentite, e comunque per entità sproporzionata per difetto rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Turni di lavoro fino a 13/14 ore giornaliere, rispetto alle 8 previste per i contratti a tempo pieno.
Costretti al lavoro nero, senza riposi, ferie e festività
Violazione del riposo settimanale, costretti a lavorare 7 giorni su 7 e anche in giorni festivi, così privati del prescritto riposo settimanale, oltre che nei giorni festivi di Natale, Santo Stefano e Capodanno. Riposo giornaliero limitato a brevi pause di pochi minuti per consumare i pasti, nel medesimo ambiente di lavoro deputato alla produzione. Svolgimento delle attività di lavoro in locali privi delle minimali condizioni di sicurezza ed igiene sul luogo di lavoro. I prestatori di lavoro sono sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, essendo costretti a lavorare e mangiare negli stessi spazi deputati alle lavorazioni, oltre ad essere alloggiati in un locale dormitorio - alcuni di loro anche all'interno del vano sottotetto -, destinato funzionalmente a pertinenza del sito di produzione e caratterizzato da condizioni igienicosanitarie carenti, sovraffollamento e numerose criticità impiantistiche.
Si tratta di un vero e proprio processo di etnicizzazione dello sfruttamento lavorativo
Al di là di questo caso specifico, a Prato, le piccole aziende, in larga parte a conduzione cinese, si sono sviluppate molto rapidamente nel settore delle confezioni e del pronto moda, oltre che nei tradizionali ambiti del commercio, dei servizi, della ristorazione. Queste imprese, molto competitive, impiegano in larga parte lavoratori stranieri, inizialmente connazionali, ma da alcuni anni sempre più nuovi migranti di altre nazionalità. Un vero e proprio processo di etnicizzazione dello sfruttamento lavorativo: mentre i contratti di lavoro degli operai cinesi sono perlopiù a tempo indeterminato o si adeguano alle esigenze dei lavoratori cinesi di rinnovare il permesso di soggiorno per lavoro o di accedere al ricongiungimento con i familiari, i contratti dei lavoratori immigrati non cinesi sono di breve durata, quando ci sono. Ma non è solo a Prato. Lì emerge con più chiarezza perché esiste da tempo una collaborazione interistituzionale tra il Comune, Procura della Repubblica, Questura, Prefettura, Asl, Regione e forze dell’ordine. Servirebbe anche in altre realtà, solo così si potrà “liberare” la manodopera sfruttata.