Questa settimana è previsto un Consiglio dei Ministri durante il quale la ministra della Giustizia Marta Cartabia metterà sul tavolo anche i decreti attuativi della riforma del processo penale. Si tratta di un passaggio tanto atteso quanto problematico politicamente perché, come sottolineato nei nostri precedenti pezzi, Movimento 5 Stelle e Lega sarebbero pronti ad alzare le barricate su alcuni comma dell'articolo 1. Quali strade ha davanti a sé la Guardasigilli? Ambire alla maggioranza in Cdm, a maggior ragione che ora il M5S ha perso anche Federico D'Inca che potrebbe schierarsi con Draghi e Cartabia su questo provvedimento. Non ne è sicuro il professore emerito di procedura penale alla Sapienza di Roma, Giorgio Spangher: «Credo sia difficile, in una fase di ordinaria amministrazione, procedere a maggioranza. Giuridicamente forse sì, politicamente no». Per il giurista, «bisogna capire se le opposizioni reciproche si saldano o si elidono. Nel primo caso l'attuazione della delega rischia, nel secondo caso no perché ognuno potrà dire di aver ottenuto qualcosa». Qualsiasi considerazione resta una ipotesi senza avere davanti i testi. Quello che è certo è che «i lavori delle cinque commissioni istituite a Via Arenula sono stati consegnati tra fine aprile ad inizio maggio: in tutti questi mesi sono rimasti nelle mani dell'ufficio legislativo del ministero della Giustizia. Allora mi chiedo - prosegue Spangher - tutta questa ampia forbice temporale sta servendo solo per armonizzare il dettato normativo o anche per sminare, temperare quelle parti divisive della delega, per giungere senza troppi intoppi ad un compromesso politico?». Se così fosse ci sarebbe il rischio di una riforma depotenziata: «Già nel passaggio tra le conclusioni della originaria Commissione Lattanzi e il progetto portato dalla ministra in Parlamento per l'approvazione dell'intera riforma del penale abbiamo assistito ad un cambiamento molto ampio. Lo stesso potrebbe verificarsi adesso sull'altare del compromesso politico». Alle istanze delle ex forze di maggioranza non bisogna dimenticare che si aggiungono anche quelle dell'Anm e dell'Unione delle Camere Penali: «Certo, si tratta di una riforma che tocca l'attività della magistratura requirente, di quella giudicante e della difesa. Pensiamo, ad esempio, alla videoregistrazione in caso di riassunzione della prova. Le Camere Penali chiedono che venga riprodotta in udienza ma se la ministra immaginasse solo che venga acquisita, ma non per forza pubblicamente, ci troveremmo in una violazione della delega? Non credo. Basta aggiungere o togliere una parola per specificare in un senso o nell'altro. Si tratta di un lavoro molto complesso quello della scrittura dei decreti». Ma chiediamo al professor Spangher a cosa però non si può abdicare: «Non si può rinunciare agli strumenti deflattivi considerato che ogni anno entrano nel sistema giustizia oltre 2 milioni di notizie di reato e la macchina giudiziaria, nonostante la digitalizzazione e l'Ufficio per il Processo, non è comunque in grado di smaltirle. Faccio un esempio: per velocizzare i processi si potrebbe paradossalmente fare a meno dell'udienza preliminare o dell'appello, ma si pagherebbe un prezzo molto alto in termini di garanzie. Allora bisogna scavare all'interno dei meccanismi del processo e allargare l'utilizzo della premialità deflattiva». Per Spangher «il punto di forza della riforma è quello che concerne il sistema sanzionatorio (non punibilità per particolare tenuità del fatto, sospensione del procedimento con messa alla prova dellimputato, sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, misure alternative al carcere per pene sotto i 4 quattro irrogate direttamente dal giudice di cognizione)». Si incentiva anche il ricorso al patteggiamento al fine di ridurre il numero e la durata dei procedimenti celebrati con rito ordinario. «Tutto questo, non essendo previste depenalizzazioni né aministie, né l'archiviazione meritata, rappresenta uno dei massimi profili atti a deflazionare il processo e indirettamente il sovraffollamento carcerario. Si tratta di un importante volano per gli istituti processuali, ma allo stesso tempo è un elemento su cui giustizialisti e garantisti potrebbero dividersi». In questo contesto, ha concluso il processual penalista, «si inserisce anche la giustizia riparativa pensata nellinteresse della vittima e dellautore del reato. Sull'estendere o meno l'accesso per tutti i reati ci sarebbero stati dei contrasti proprio all'interno della commissione istituita a Via Arenula», figuriamoci se non riguarderà anche i partiti. All'interno di questa cornice si cambiano alcune regole del processo. In sintesi, si prevede, tra l'altro, che, «quando non sono soddisfatte le condizioni per procedere in assenza dellimputato, il giudice pronunci sentenza inappellabile di non doversi procedere». Inoltre il difensore dell'imputato assente può impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato. Si intende anche modificare «la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione, prevedendo che il pubblico ministero chieda larchiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna» e accorciare «i termini di durata delle indagini preliminari». Inoltre in caso di mutamento del giudice si «disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta». Per quanto concerne le impugnazioni, si immagina «linammissibilità dellappello per mancanza di specificità dei motivi quando nellatto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato» e di «prevedere la celebrazione del giudizio di appello con rito camerale non partecipato, salvo che la parte appellante o, in ogni caso, limputato o il suo difensore richiedano di partecipare alludienza». Insomma tra la purezza del diritto e la mediazione politica chi la spunterà?