La Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato dai funzionari di polizia condannati in via definitiva per i fatti della scuola Diaz relativi al G8 del 2001. I poliziotti, che erano stati assolti in primo grado, furono poi condannati in appello e in Cassazione per falso e calunnia. Nel ricorso, presentato nel 2013 quando la condanna era diventata definitiva, si sosteneva che la sentenza della Corte d'Appello di Genova avesse violato l'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo che sancisce il «diritto dell'imputati di interrogare o far interrogare i testimoni a carico» e quello ad un «equo processo». I funzionari lamentavano che la sentenza di primo grado fosse stata ribaltata in appello senza risentire i testimoni. Se la Cedu avesse accolto i ricorsi si sarebbe aperta la possibilità di una revisione del processo a 21 anni dai fatti. Ma per la Cedu, ha fatto bene la Corte d'appello a non risentire i testimoni, visto che le testimonianze non avevano avuto un ruolo determinante né nell'assoluzione né nella condanna. I giudici di primo e secondo grado, affermano i giudici europei, si sono basati su prove documentali e sulle dichiarazioni di alcuni degli stessi funzionari di polizia. La regola secondo cui i testimoni devono essere risentiti non è un automatismo secondo la Cedu, bensì dipende da una valutazione del giudice sulla rilevanza della testimonianza. A presentare il ricorso erano stati i funzionari di polizia Gilberto Caldarozzi, Fabio Ciccimarra, Carlo Di Sarro, Filippo Ferri, Salvatore Gava, Francesco Gratteri, Giovanni Luperi, Massimo Mazzoni, Spartaco Mortola e Nando Dominici. Alcuni di loro, a 21 anni dai fatti, sono ormai in pensione. «Nella presente causa - si legge nella decisione -, dopo un'approfondita analisi degli elementi di prova del fascicolo e delle osservazioni delle parti, il Tribunale rileva che, sebbene la Corte d'Appello di Genova non abbia proceduto a una nuova udienza dei numerosi testimoni che hanno deposto dinanzi giudice, le dichiarazioni dei suddetti testimoni non hanno avuto un ruolo determinante né nell'assoluzione né nella condanna dei ricorrenti per i reati di falso e concorso in falsità. Infatti, la condanna per tali accuse si basa sulla ricostruzione dei fatti come accertata dal giudice di primo grado sulla base di numerosi elementi di prova e delle dichiarazioni di alcuni dei ricorrenti. La Corte ricorda che, sebbene sia necessario che il giudice che condanna per la prima volta un imputato valuti direttamente le prove orali su cui basa la sua decisione, questa non è una regola automatica, che renderebbe un processo iniquo per il solo motivo per cui il tribunale in questione non ha ascoltato tutti i testimoni citati nella sua sentenza e di cui ha dovuto valutare la credibilità. Occorre infatti tener conto, tra l'altro, del valore probatorio delle testimonianze in questione».