Pubblichiamo di seguito un estratto della relazione tenuta dal presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick all’incontro su “Il processo penale in Italia tra garanzia ed efficienza” organizzato martedì scorso dalla Associazione Vittorio Bachelet presso il Csm. La relazione è stata predisposta dal presidente Flick con la collaborazione del consigliere Alberto Macchia ( già magistrato, assistente alla Corte costituzionale) ed è stata presentata col titolo “Dall’oblio alla memoria: o viceversa? Divagazioni sulla prescrizione”.

Una tempesta perfetta in un bicchiere d’acqua. Potrebbe definirsi così la riforma della prescrizione entrata in vigore il 1° gennaio 2020 – secondo recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia definita “epocale” – che ( sempre secondo tali dichiarazioni) “si applicherà solo al 3% dei processi”.

Valeva la pena di smuovere sacri principi, consolidati insegnamenti sul diritto penale, mettere quasi quotidianamente a rischio l’equilibrio politico e la sopravvivenza del governo, per un obiettivo e un risultato come quelli richiamati, per di più con una riforma che tuttalpiù produrrà effetti ( e quali effetti!) solo fra 3 o 4 anni? L’esame e la riforma della prescrizione – se non si vuole creare un mito da additare, come molti altri, alla collera collettiva – vanno studiati nelle premesse, nelle condizioni di operatività, nei riflessi sugli altri profili del processo penale. E logica vorrebbe che la tanto promessa e decantata riforma del processo avvenisse prima o contemporaneamente a quella della prescrizione.

Evitare l’eccesso del ricorso allo strumento penale ( che è di extrema ratio) nel momento in cui contraddittoriamente si parla tanto di depenalizzare, come condizione per non rinunciare alla obbligatorietà dell’azione penale; distinguere il fronte sostanziale della prescrizione da quello processuale della durata ragionevole del processo; rinunziare al rito accusatorio “puro” per taluni processi relativi a fattispecie semplici; semplificare il processo e riorganizzare i riti alternativi dopo la disorganica pioggia di riforme introdotte in un trentennio con poca coerenza nel codice di procedura del 1989; riorganizzare le impugnazioni rimuovendo le anomalie, senza con ciò comprimere il diritto al riesame di merito e di legittimità della decisione di primo grado. Solo in questo quadro può essere affrontato il problema della prescrizione nell’equilibrio fra l’oblio e la memoria; piuttosto che guardare al dito della prescrizione, sarebbe il caso di guardare alla luna dell’appello ( e della Cassazione).

Cominciare dalla coda, anziché dalla testa, isolando il singolo problema, è più facile, più accessibile, più comprensibile dai non addetti ai lavori. La presente riflessione – senza aver la pretesa di addentrarsi nel tecnicismo; ve ne è già troppo o troppo poco a seconda dei punti di vista – si propone di richiamare criticamente alcuni fra i tanti interrogativi suscitati dalla “tempesta perfetta”. (...)

UN DISCORSO SUL METODO

Ogni riforma – qualunque possa essere il giudizio sul suo contenuto – è condizionata dal modo con cui essa è stata discussa e formulata: se non altro, per la sua comprensione da parte di chi – non addetto ai lavori – è destinatario degli effetti di essa, e merita quindi rispetto.

Nel caso della riforma sulla prescrizione il metodo seguito desta, a mio avviso, sconcerto e perplessità sotto molteplici aspetti: - la riforma – in sé necessaria ed in discussione da più di venti anni, ma suscettibile di affrontarsi con diverse soluzioni – è stata affrontata attraverso un emendamento in sede parlamentare su un provvedimento rivolto a tutt’altro fine ( la prevenzione e repressione della corruzione); senza tener in alcun conto la sua portata e i suoi effetti di ordine generale sul processo; con un dibattito – fra maggioranza e opposizione e all’interno della stessa maggioranza – articolato più su esigenze politiche molto concrete che sul merito della riforma e sulle sue alternative; - sono state ignorate le indicazioni della dottrina; delle commissioni di studio succedutesi nel tempo sui problemi complessi che solleva la disciplina di questa causa estintiva del reato; della riforma introdotta con la legge n. 103 del 23 giugno 2017 ( la cosiddetta riforma Orlando) in tema di sospensione e di interruzione della prescrizione; (...) - il blocco della prescrizione con la sentenza di primo grado, per scoraggiare le impugnazioni a carattere dilatorio effettivo o presunto – a prescindere dalla sua incomprensibile formulazione in termini di una “sospensione” cui non può seguire la ripresa del suo corso – in realtà finisce per incidere su meno della metà delle situazioni di prescrizione. La maggior parte di esse matura e si verifica infatti già nella fase delle indagini preliminari e nella stasi prodromica ( il cosiddetto collo di bottiglia) alla fissazione della prima udienza dibattimentale, alla cui gestione l’imputato e il suo difensore sono per definizione estranei ( cfr. i dati di una ricerca Eurispes e dell’Unione Camere Penali, riportati dal Corriere della Sera in data 19 novembre 2018); (...) - a differenza di altri ordinamenti, non è previsto alcun rimedio compensativo ( in termini di riduzione della pena o risarcimento) per evitare all’imputato di restare senza termine e per un tempo indefinito sottoposto a un processo, quando l’irragionevole durata non dipenda da sue manovre dilatorie ma da lentezze patologiche dell’organizzazione giudiziaria e del processo; (...) - già a lume del buon senso, eliminare il vincolo della prescrizione e lo stimolo a celebrare i processi con la sua “minaccia” sembra paradossalmente il modo più efficace per assicurare a quei processi una certamente “irragionevole” durata, nelle attuali e note condizioni di dissesto della giustizia penale; nonché – al tempo stesso e contraddittoriamente – per perseguire esigenze di immagine più che di efficienza e soprattutto di attuazione delle garanzie costituzionali di un giusto processo; - a dispetto dell’enfasi con cui la prescrizione è stata presentata e affrontata come l’emblema di tutti i mali della giustizia ( che sono notoriamente tanti) e come ricettacolo inammissibile di privilegi – in realtà e tranne taluni casi eccezionali – essa colpisce per lo più soltanto reati di lieve entità: quelli appunto che si vorrebbero e dovrebbero depenalizzare come primo e urgente intervento; - infine e soprattutto, una parte della maggioranza dichiara esplicitamente di votare o addirittura di proporre soluzioni di compromesso che non si condividono, nell’attesa che – su istanza degli avvocati – ci pensi la Corte costituzionale a correggere questo errore: con buona pace della supplenza così richiesta e del rispetto che si dovrebbe avere verso la Corte stessa e verso il Parlamento da parte dei membri di quest’ultimo; - dulcis in fundo, il ministro che definisce “epocale” la riforma ammette che essa si applicherà - fra 3 o 4 anni - solo al 3% dei processi: ne valeva la pena? In cauda venenum, ci si deve aspettare che anche le altre riforme in tema di giustizia seguano lo stesso percorso e metodo di quella appena entrata in vigore sulla prescrizione?

GIOVANNI MARIA FLICK