Il professore di diritto penale a Palermo, Giovanni Fiandaca, lancia accuse durissime nei confronti dei pubblici ministeri che avviarono il procedimento sulla presunta trattativa “Stato-mafia”. Le sue parole sono state riportate questa mattina dal “Corriere della Sera”, nell’edizione cartacea, con le quali boccia sonoramente l’impostazione accusatoria. «La cosa peggiore di questa stagione segnata dalla presunta trattativa adesso sfumata nelle assoluzioni di uomini politici e ufficiali dei carabinieri è il tempo perso e il danno di immagine fatto all’Arma e all’intero Paese, visto che un certo storytelling ha superato i confini nazionali diventando verità assoluta pure per chi non conosce nemmeno le carte…». Per Fiandaca gli «allievi infedeli», avrebbero perso tempo perché «era chiaro già all’inizio del processo che mancavano i presupposti giuridici per ipotizzare un concorso nel reato previsto dall’articolo 338 del codice penale per minaccia a un corpo politico. Fiandaca, tuttavia, aveva espresso critiche anche dopo la sentenza di condanna emessa dai giudici di primo grado, nella quale si evidenziavano «i punti deboli sia sul versante della ricostruzione del fatto sia su quello dell’impianto giuridico», criticando sia i pm che il collegio giudicante, all’epoca presieduto da Alfredo Montalto. «La contraddittorietà degli esiti processali dimostra come l’impostazione accusatoria fosse ben lontana dalla regola probatoria dell’oltre ogni ragionevole dubbio». Secondo Fiandaca, infine, l’assunzione di Calogero Mannino «aveva fato venir meno il primo pilastro dell’originaria impostazione».