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Tutto ciò che non arriva a Palazzo dei Marescialli “muore” negli uffici della procura generale e averne notizia è impossibile, «perché si tratta di atti segreti». Anche nel caso in cui quegli atti potrebbero rappresentare “un’arma” per la difesa che lamenta una violazione dei diritti del proprio assistito, perché nessuno, nemmeno lo stesso Csm, può intromettersi nella fase predisciplinare. A chiarirlo fonti interne al Consiglio superiore della magistratura, tirato in ballo a seguito della denuncia fatta sulle colonne di questo giornale dall’avvocato Giancarlo Murolo, del foro di Reggio Calabria, che ha chiesto di conoscere l’esito di un esposto, presentato più di due anni fa, nel quale si lamentava la presenza, in Camera di consiglio, di un magistrato estraneo al collegio giudicante e impegnato in precedenza come giudice del Riesame nel definire la posizione cautelare di un coimputato del suo assistito, Rocco Ripepi, imputato nel processo “Gambling”. Ma quell’esposto, spiega ora il Csm, non è mai arrivato a Palazzo dei Marescialli, per cui non è possibile parlare di un volontario ostruzionismo nei confronti della difesa. «Gli atti che compongono il cosiddetto fascicolo predisciplinare, quello che si apre presso la procura generale quale soggetto chiamato ad esercitare eventualmente l’azione disciplinare a carico di un magistrato - spiega la fonte -, non sono conosciuto o accessibile né al Consiglio superiore della magistratura, né al soggetto che ha presentato l’esposto e nemmeno al magistrato oggetto della lamentela». Ripepi aveva presentato il suo esposto due anni fa al presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria, che dopo una preliminare istruzione ha inviato tutte le carte alla procura generale. L’uomo aveva denunciato la presenza in Camera di consiglio di un magistrato esterno al collegio, una “visita” durata circa un’ora e mezza, con la conseguente «violazione della segretezza della camera di consiglio», ha sottolineato l’avvocato. Che da quel momento non ha saputo più nulla: gli atti, aveva risposto a sua richiesta la procura generale, non erano ostensibili e tutto ciò che era dato sapere è che «i procedimenti originati dall’esposto sono stati definiti». Ma quegli atti, ha spiegato Murolo, sono necessari alla difesa, in quanto «prova confortante l’eccepita nullità della sentenza d’appello». Da qui il ricorso al Tar - davanti al quale Murolo ha citato il ministero della Giustizia e la procura generale -, secondo cui, però, «gli atti del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari non sono atti amministrativi» ma «giurisdizionali» e pertanto «rispetto ad essi non valgono le esigenze di ordine generale a fondamento dell’accesso nei confronti dell’attività di pubblico interesse dell’amministrazione, consistenti nel “favorire la partecipazione e (…) assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”». A dirimere la questione ci penserà domani il Consiglio di Stato, che dovrà decidere definitivamente se quella prova ritenuta fondamentale dalla difesa sia accessibile o meno. E ciò a pochi giorni dall’udienza in Cassazione, fissata il 4 aprile. Intanto, però, è possibile fare chiarezza su tutto ciò che accade prima che un fascicolo si “incardini” a Palazzo dei Marescialli. Dal momento in cui la procura riceve la notizia di illecito disciplinare, che consente di fare delle sommarie indagini preliminari per capire se esercitare o meno l’azione, questo pezzo di procedimento rimane segreto. E se la decisione del pg è quella di chiudere tutto senza passare la palla al Csm, nessuno, nemmeno la parte che ha lamentato un eventuale danno, verrà mai a sapere che fine abbia fatto il proprio esposto. La sentenza del Tar Lazio, spiega la fonte, «non è affatto nuova: esistono diversi precedenti». E ciò perché «la procura generale lavora nell’interesse dell'amministrazione della giustizia, in questo caso nell’interesse di un controllo dell’attività di quei magistrati oggetto dell’esposto. Ma si tratta di procedimenti interni, perciò inaccessibili». Segreti, un po’ come le inchieste fino alla chiusura delle indagini preliminari. L’obiezione è automatica: in quel caso, chi si è eventualmente rivolto all’autorità giudiziaria ha diritto ad essere informato e c’è un giudice a vagliare il tutto. Ma ciò non vale per le “indagini” che la procura generale svolge sui magistrati: «Una cosa è l’indagine penale, una cosa l’indagine disciplinare, un fatto interno all’ordinamento della categoria interessata. Tant’è che neanche il Consiglio ha accesso agli atti». Come indaga, dunque, la procura generale? Una delle possibilità è che il pg deleghi ai capi delle Corti interessate il compito di sentire i magistrati e riferire poi alla procura generale, cosa che nel caso specifico sarebbe avvenuta preventivamente. Probabile, dunque, che l’esposto di Murolo sia stato archiviato. Ma cosa fare nel caso in cui una violazione della segretezza della Camera di consiglio si sia effettivamente verificata? «Il privato che si sente eventualmente leso può percorrere la strada della legge Vassalli, cioè della responsabilità civile, o tentare la via della giustizia penale». Murolo però non si arrende: «La legge non prevede che gli atti non siano ostensibili - ribadisce -, si tratta di una costruzione giurisprudenziale. Al di là del fatto che mi era stato comunicato che il procedimento era in corso, per noi sono fondamentali gli atti, non solo il provvedimento finale: ne va del diritto alla difesa».