È fatta. La sola chiosa che il governo plausibilmente può concedersi sull’ok al processo civile è di sollievo. È fatta, dal punto di vista di Marta Cartabia e Mario Draghi, perché martedì sera Palazzo Madama ha dato via libera, dopo la fiducia, a una riforma ampia ma controversa. È certamente controversa sull’unica opzione adottata direttamente, dalla guardasigilli e dalla maggioranza, per rendere più “serrato” il tempo della causa: la “concentrazione” di tutte le attività difensive in una fase precedente la prima udienza. Che «nelle richieste dell’Ue non poteva più essere di solo rinvio», ha avvertito la ministra. Risultato: sulle parti e i loro legali incomberanno preclusioni e decadenze così stringenti da rendere impervio l’esercizio dei diritti di difesa.

È un timore condiviso da troppe voci per essere pretestuoso. Lo sostiene da mesi l’avvocatura, Cnf e Unione Camere civili innanzitutto. Lo ha rilevato l’Associazione fra gli studiosi del processo civile, a inizio estate, con una nota inviata a governo e Parlamento. Lo ha scritto nel proprio parere sulla riforma persino il Csm, e a chiare lettere.

Ma il dato forse più sorprendente è che a esprimere preoccupazione per le forzature siano stati anche parlamentari di maggioranza. Basti ricordare il senatore di Forza Italia Franco Dal Mas, che in Aula ha dichiarato: «Dico sì al testo solo perché il regolamento del Senato non prevede un voto distinto sul provvedimento e sulla fiducia». Fino a una delle tre relatrici di Palazzo Madama, la paralamentare delle Autonomie Julia Unterberger: «Non si discuterà più su chi ha ragione e chi ha torto ma su chi ha rispettato i termini e chi no». È esattamente il rilievo che da più di un anno muove l’avvocatura. Ma potrebbe non esserci più tempo per correggere il tiro.

Ddl civile a Montecitorio

Approvato in prima lettura due giorni fa al Senato, il ddl delega sul civile è atteso ora a Montecitorio, dove però si rischia di dover limitare l’esame al sì su un testo fotocopia, immodificabile e discusso in tempi fulminei. La Camera sarà impegnata nei prossimi giorni a esprimersi sul decreto che attua la direttiva Ue in materia di presunzione d’innocenza. Poi, come ha segnalato ieri Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia, ci si dovrà concentrare fine vita, testo atteso in Aula per il 25 ottobre: «Abbiamo già fatto un grande lavoro di sintesi, ora stabiliremo nel primo ufficio di presidenza utile il calendario per l’esame e il voto degli emendamenti, circa 400», ha chiarito il deputato 5 Stelle.

Dopo le due incombenze citate, ci sarebbe un margine di appena un paio di settimane prima che inizi la paralizzante sessione di Bilancio. Senza considerare che la tabella di marcia del Recovery impone un impulso rapido anche al ddl delega sul Csm, incardinato sempre nella commissione presieduta da Perantoni e sospeso in vista degli emendamenti di via Arenula, già rinviati l’estate scorsa per dare precedenza alla riforma pensali. Con un traffico simile, non sarà semplice per il Parlamento assicurare al testo sul civile spazi tali da ipotizzare ripensamenti: entro dicembre l’Ue pretende l’ok definitivo.

In un’intervista al Dubbio, la senatrice di FI Fiammetta Modena ( che oggi si confronterà col consigliere Cnf Alessandro Patelli in diretta sulla pagina facebook del nostro giornale), anche lei relatrice del civile come Unterberger e Anna Rossomando del Pd, ha fatto notare come la delega lasci un margine per sciogliere nei decreti legislativi i nodi sulle decadenze e le preclusioni. Anche sul rischio che si perda tempo a decidere chi ha rispettato le nuove regole processuali. Sempre Modena assicura che ulteriori complessità come quelle relative alle chiamate di terzi e alle cause “plurisoggetive” saranno oggetto del fine tunig in fase attuativa. Sembra quasi che la partita possa giocarsi solo in quella sede. Ma è chiaro che, viste le diverse valutazioni nella stessa maggioranza, la guardasigilli sceglierebbe così la via di una vera e propria scommessa.

Maggiori compensi ai legali, il no della Ragioneria

Nelle ultime convulse fasi dell’esame a Palazzo Madama, peraltro, è saltata una norma che valorizzava uno degli aspetti positivo, per l’avvocatura, della riforma, la possibilità che le istruttorie stragiudiziali condotte dai difensori fossero acquisite dal giudice per definire la causa. In realtà la chance è rimasta, ma senza l’incentivo di un maggiore compenso ( del 20 per cento rispetto ai parametri ex Dm 55 del 2014) per l’avvocato che si fosse assunto quell’onere.

Niente da fare perché la Ragioneria di Stato ha liquidato la storia con un parere negativo giacché la norma avrebbe agevolato «una serie di attività di natura “stragiudiziale”, prodromica all’eventuale svolgimento del giudizio, normalmente rientranti, almeno in parte, nell’attività consulenziale normalmente rimessa all’avvocato». Della serie: il difensore è gia pagato anche per quello, non merita altro. Accelerare il processo sì, ma solo con un maggior peso da scaricare sulle parti e i loro avvocati. Ecco la filosofia imposta dal Mef e inevitabilmente recepita nel testo finale, che ha visto cancellato quel 20 per cento in più. Uno spirito che ora i decreti attuativi dovranno davvero faticare per correggere.