Esce indebolito lo strumento referendario. Non solo il progetto dei comitati promotori. Le tre sentenze con cui la Corte costituzionale motiva linammissibilità di altrettanti quesiti esaminati due settimane fa su responsabilità dei giudici, eutanasia e cannabis contengono critiche alla tecnica abrogativa di tutte le proposte che colpiscano parti di una disciplina regolata da disposizioni diverse. Ed è soprattutto lesclusione del referendum sulle toghe che sembra destinata a suscitare repliche, visto che si regge essenzialmente sul richiamo a una giurisprudenza costituzionale ostile ai quesiti di ritaglio, che cioè colpiscono chirurgicamente specifici dettagli della legislazione, in modo da far risultare, con una vittoria del sì, una «disciplina giuridica sostanzialmente nuova, non voluta dal legislatore». Nella pronuncia si fa riferimento a precedenti decisioni della Corte su casi del genere. È vero però che in un passato non lontano la tecnica del ritaglio è stata ammessa, per esempio in materia elettorale. Di certo, le tre sentenze di oggi, e soprattutto quella sulle toghe, consolidano un orientamento restrittivo. Non se ne possono rallegrare il Partito radicale e la Lega, che hanno sì visto promossi gli altri 5 quesiti sulla giustizia ma che subiscono, con il no alla proposta sulla responsabilità dei giudici, un colpo durissimo per la rincorsa al quorum. Un po diverso è il quadro per omicidio del consenziente e cannabis, in particolare per il primo caso, nel quale pare più difficile ribattere alle obiezioni della Consulta relative al deficit di «tutela minima della vita» prodotto dalleventuale vittoria del sì. Tecnicamente più complessa la già nota contestazione per la cannabis, riguardante la tabella delle sostanze effettivamente riconducibili alla norma da abrogare.