Quello di Stefano Cucchi non solo fu omicidio, ma i carabinieri hanno tentato di insabbiarlo. Dopo
la sentenza definitiva della Cassazione sulla morte del giovane romano ucciso nel 2009, oggi infatti arriva la condanna per tutti gli otto carabinieri imputati nel processo per i depistaggi. È la decisione del giudice Roberto Nespeca, arrivata nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, dopo otto ore di camera di consiglio. La pena più alta (5 anni di reclusione) è stata inflitta al generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma. Per lui il pubblico ministero Giovanni Musarò aveva chiesto 7 anni. «Sono sotto chock. Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno. Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi ci siamo. E le persone che ne sono stati la causa, i responsabili, sono stati condannati», commenta la sorella Ilaria Cucchi.
La sentenza
Quattro anni di reclusione sono stati inflitti a Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma. Per lui l’accusa aveva sollecitato 5 anni e mezzo. Per Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, condanna a 4 anni, invece di 5. Stessa pena chiesta per il carabiniere Luca De Ciani, per il quale sono stati dati invece 2 anni e 6 mesi. Per Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, condanna a un anno e 9 mesi (invece dei 4 anni richiesti dalla procura). Un anno e 3 mesi al carabiniere Francesco Di Sano (3 anni e 3 mesi per il pm), stessa pena anche a Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma, per il quale erano stati sollecitati 3anni. Pena pari a 1 anno e 9 mesi per Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, otto mesi in più di quanto auspicato dal pm previo il riconoscimento delle attenuanti generiche. Le accuse agli otto carabinieri andavano a seconda delle posizioni, dal falso al favoreggiamento, dall’omessa denuncia alla calunnia.