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È attesa per le prossime settimane la decisione della Cassazione sul ricorso di un docente di Terni il quale ha avviato una causa contestando la sanzione disciplinare della sospensione per 30 giorni inflittagli nel 2009 dall’ufficio scolastico provinciale: il professore, «invocando la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa», aveva «sistematicamente rimosso il simbolo prima di iniziare la lezione, ricollocandolo al suo posto solo al termine della stessa». La Corte d’appello di Perugia, nel 2014, aveva dichiarato legittima la sanzione disciplinare per il docente, il quale, quindi, si è rivolto ai giudici del “Palazzaccio”. Secondo i giudici d’appello, l’esposizione del crocifisso «non aveva limitato la libertà di insegnamento» e «non è lesiva di diritti inviolabili della persona, né è, di per sé sola, fonte di discriminazione tra individui di fede cristiana e soggetti appartenenti ad altre confessioni religiose». Nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, i giudici della sezione lavoro della Cassazione osservano invece che le tematiche sollevate dall’insegnante nel suo ricorso siano «di particolare importanza», in ragione «dei diritti che vengono in rilievo». «Ci si può chiedere se, a fronte della volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e dell'opposta esigenza resa esplicita dal docente, l'esposizione del simbolo - si interrogano i giudici - non si potesse realizzare una mediazione fra le libertà in conflitto, consentendo, in nome del pluralismo, proprio quella condotta di rimozione momentanea del simbolo della cui legittimità qui si discute». Ad ogni modo gli ermellini ricordano che «l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche non è imposta da disposizioni di legge ma solo da regolamenti, risalenti nel tempo, applicabili alle scuole medie inferiori».