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Si è aperto ieri a Roma, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, il 35esimo congresso dell’Associazione nazionale magistrati. Le toghe sono tornate a riunirsi a sei mesi dalla loro ultima assise, quando deliberarono lo sciopero contro la riforma del Csm targata Cartabia. L’evento si concluderà domani e non prevede il rinnovo delle cariche, in calendario per il prossimo anno. Ad aprire i lavori, la lunga relazione del presidente Giuseppe Santalucia. Un discorso dai toni pacati ma da cui sono stati lanciati chiari messaggi alla politica. Ha parlato ovviamente del recupero della fiducia nella magistratura, minata dallo scandalo dell’Hotel Champagne: «Bisogna esserne all’altezza come collettivo, e quindi nessuno si può consolare chiamandosi fuori da uno sforzo comune di riconquista del terreno perduto, ritagliandosi uno spazio perimetrato dal proprio ufficio, dai propri fascicoli». Ce la si fa all’interno dell’Anm, non allontanandosene. Se è vero, ammette Santalucia, che «di responsabilità della magistratura occorre ragionare» dall’altra parte auspica che «sia finalmente messa da canto la pulsione, che in questi recenti anni abbiamo visto invece ravvivata, di poter mettere in riga l’ordine giudiziario, profittando delle difficoltà e del calo di credibilità». L’origine di queste spinte è nella tentazione di «far pagare il conto ai magistrati: ma questo non porta al superamento della crisi della giurisdizione, casomai apre al progressivo indebolimento di un suo connotato ideale, l’unico capace di alimentare e mantenere nel tempo la fiducia collettiva che tutti ricerchiamo: mi riferisco all’indipendenza dei magistrati dall’esterno e all’interno dell’ordine stesso». E il presidente però stigmatizza anche il fatto che, dal cosiddetto scandalo Palamara, «una volta individuato il nodo nel rapporto tra la magistratura e il potere, tra il governo autonomo della magistratura e la politica, è mancata un’ampia e completa disamina delle loro relazioni, che sono state osservate solo da un’angolazione, quella appunto delle colpe dei magistrati». In breve, non può essere solo colpa della magistratura, la responsabilità va divisa con la politica. Quella politica a cui Santalucia imputa di «non aver ricercato le ragioni di un disagio, di un malessere che si è manifestato nelle forme del carrierismo, patologia che è effetto e non causa del progressivo indebolimento della giurisdizione». La stessa politica ha poi dato vita a una riforma che «fa correre il rischio di veder intaccato il modello di magistrato delineato in Costituzione», come più volte ripetuto. A proposito di riforma dell’ordinamento giudiziario, Santalucia indirettamente replica a chi ha considerato anche in parte incostituzionale lo sciopero Anm di maggio: «L’offerta di un contributo di idee e di esperienza nel corso dell’attività riformatrice non è una invasione del campo riservato alla Politica, un attentato alla sovranità parlamentare, ma un esercizio di democrazia partecipativa che consente, a beneficio di chi deve decidere, visioni più ampie e approfondite dei problemi». Ma poi chiede al Parlamento e al futuro governo due cose: «Il nostro auspicio è che, in sede di esercizio della delega legislativa, la politica ascolti attentamente ciò che abbiamo da dire». Inoltre «siamo fiduciosi che, al di là delle previsioni di legge, il Parlamento saprà nominare una componente laica di alta statura capace, per cultura giuridica e sensibilità istituzionale, di agevolare nel Consiglio un processo di rinnovamento che, come sempre è accaduto, non può prescindere dalla buona volontà di donne e uomini». Tradotto: non ci mandate gli scarti delle Politiche. Santalucia è stato molto applaudito. Tuttavia per Andrea Reale, rappresentante di “Articolo 101” nel direttivo Anm, «il suo discorso pecca di insufficiente autocritica. Non è stato fatto abbastanza per il rinnovamento etico tanto auspicato. Sarebbe servita più trasparenza, ad esempio, sui procedimenti sanzionatori dell’Anm e maggiore controllo critico sull’operato del Csm e delle correnti. E soprattutto nulla ha fatto l’Anm per suggerire rimedi davvero capaci di evitare il ripetersi dei fenomeni degenerativi del correntismo e del carrierismo». Dopo la relazione di Santalucia e quella di Gaetano Silvestri si è tenuta la tavola rotonda “La fisionomia costituzionale del magistrato: riforme e autogoverno” a cui hanno preso parte Enrico Scoditti, lo stesso Silvestri, Nicolò Zanon e la presidente del Cnf Maria Masi che, sollecitata sul nuovo ruolo dell’avvocatura, a partire dal voto nei Consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità, ha detto: «L’avvocatura chiedeva da tempo che si desse seguito a quel senso di comunità della giurisdizione, spesso invocato dal Presidente Mattarella. La riforma vede finalmente valorizzato il ruolo dell’avvocato. Non siamo particolarmente attratti dal dare voti e pagelle, tanto è vero che la nostra stessa proposta, poi recepita, è stata quella di mediare con il parere dell’Ordine forense, sia in termini negativi che positivi. Dall’altra parte avremmo apprezzato un maggiore coinvolgimento nella organizzazione degli uffici, sempre in nome di quella comunità della giurisdizione». E sulle riforme del civile e del penale ha concluso: «Non c’è volontà di boicottarle ma diffidenza sugli strumenti adottati per raggiungere gli obiettivi del Pnrr. Ho apprezzato quanto detto dal Presidente Santalucia: se avessimo abbandonato i pregiudizi e le rivendicazioni di categoria, trovando una nostra sintesi, non ci ritroveremmo in questa situazione».