Come ha osservato il Garante nazionale Mauro Palama, ben 1.319 persone sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno, e altre 2.473 per una condanna da uno a due anni. Significa che 3.792 reclusi potrebbero scontare la pena al di là delle sbarre dietro cui si trovano attualmente, senza nemmeno varcare la soglia del carcere. Ma tanti di loro non hanno una dimora o altri strumenti per accedervi. Cosa fare? Si può prendere esempio, magari estendendolo in tutta Italia attraverso il coinvolgimento di tutte le regioni, della Casa di accoglienza “Don Giuseppe Nozzi”, che si trova Bologna, in via del Tuscolano.

Si tratta di una struttura per detenuti in misura alternativa al carcere, dove opera personale del Ceis (Centro di Solidarietà), in collaborazione con la “Fraternità Tuscolano 99”. È attivo da alcuni mesi, ma due giorni fa è stata ufficializzata la sua apertura. Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, l’arcivescovo della città e presidente Cei, cardinale Matteo Zuppi, e per il Ceis padre Giovanni Mengoli, presidente del gruppo, affiancato da padre Giuliano Stenico, presidente Fondazione Ceis. «Questa casa di accoglienza è anche bella, insisto su questo aspetto. Un luogo bello rende più bello chi lo abita», ha detto Zuppi.

Per padre Mengoli «le cifre ormai note dell’abbattimento della recidiva del reato per chi sconta la pena in misura alternativa ( il 16- 20% contro il 66- 70% circa di chi sconta la pena interamente in carcere) dovrebbero motivare la realizzazione di opportunità di accoglienza atte a favorire la concessione di misure alternative. La Regione - ha sottolineato ancora - dovrebbe dare la possibilità di inserire nel sistema dei servizi sociali e sanitari realtà come Casa Don Nozzi».

Inizialmente la gestione dell’accoglienza sarà parzialmente sovvenzionata attraverso i fondi Faac e da un contributo della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, avendo poi come obiettivo di intercettare finanziamenti pubblici e privati per la sua gestione futura. La struttura può accogliere 8 persone in regime residenziale e, considerata la vicinanza con il carcere della Dozza, ulteriori posti in regime non residenziali possono essere a disposizione per accoglienze brevi di permanenze di detenuti in permesso premio, o nella fascia diurna per carcerati in semilibertà. Non è l’unica realtà ovviamente.

Di strutture simili operano anche altrove, ma sempre tramite il cosiddetto terzo settore e senza una “responsabilizzazione” dello Stato ( così come invece ora avverrà con le case famiglie per detenute madri. Inizialmente, questa idea di valorizzare le case di accoglienza, era contemplata dalla riforma Orlando dell’ordinamento penitenziario, poi approvata a metà quando si instaurò il governo legastellato. L’idea era incentrata proprio per dare la possibilità ai detenuti più “vulnerabili” a causa della marginalità sociale, di usufruire il beneficio penitenziario.