«Di fronte a queste storie siamo tutti interrogati, “siamo tutti coinvolti”. E, di sicuro, “niente affatto assolti”, volendo parafrasare un celebre verso di Fabrizio De Andrè». Così la ministra della Giustizia Marta Cartabia, innanzi alla Commissione parlamentare per l’Infanzia, ha chiosato facendo riferimento sul frequente ricorso alla violenza e alla sopraffazione da parte di troppi minori: talvolta sono usati come manovalanza della criminalità organizzata, a cominciare dalla camorra; talvolta sono protagonisti dell’altrettanto preoccupante fenomeno delle baby gang.

La guardasigilli, sul punto, offre una soluzione. O meglio, una via di uscita che è da ritrovarsi attraverso il dialogo tra il mondo della giustizia e quello della formazione, soprattutto scolastica. A tal proposito cita un esempio. «Con il progetto “Liberi di Scegliere”- ha illustrato la ministra della Giustizia - finanziato nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Legalità” 2014- 2020, il Dipartimento, ha avuto la possibilità di attuare in Calabria, Campania e recentemente anche in Sicilia, una strategia innovativa di intervento educativo mirato per ogni singolo ragazzo, per consentire l’elaborazione autonoma di un progetto di vita sganciato dalle dinamiche criminali». La ministra Cartabia, ci ha tenuto a sottolineare che, chi nasce in un contesto mafioso, non è “ineluttabilmente” condannato ad un’eredità criminale. «Spetta a noi adulti, alla scuola e a tutti gli educatori, spezzare un presunto “destino” di devianza, porgendo ad ogni ragazzo una proposta attraente e percorribile, alternativa alla seduzione della criminalità», ha ribadito la guardasigilli.

Ha ricordato che occuparsi della giustizia minorile, vuole dire occuparsi in fondo di educazione. Educare e rieducare, continuamente. E ha ricordato le parole del cardinale Carlo Maria Martini: «Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non si sarà raccolto». La ministra ha spiegato che nel recupero dei minori che inciampano in un reato è in gioco la vita di ciascun ragazzo e quella dell’intera polis. «Anzi, l’idea stessa di società futura che vogliamo costruire», ha sottolineato con forza.

Nell’intervento alla commissione Infanzia, la ministra Marta Cartabia ha ribadito che il carcere deve considerarsi davvero l’extrema ratio per i ragazzi che commettono dei crimini, privilegiando invece le misure alternative: percorsi di giustizia riparativa, focus sull’istruzione, la formazione professionale, l’educazione alla cittadinanza attiva. «Crediamoci nei ragazzi – ha detto, con forza, la ministra -. Diamo loro delle proposte alternative al carcere, i giovani autori di reato non sono costretti a rimanere lungo la china di criminalità che hanno intrapreso. Le misure alternative ci dicono che laddove questi giovani sono stati affiancati da adulti che hanno saputo essere adulti al loro fianco, la possibilità di una strada diversa c‘ è». Viene fatto l’esempio emblematico di Daniel Zaccaro, un ragazzo di 29 anni. Oggi ha una laurea in Scienze dell’educazione e ha raccontato la sua storia in un libro, un vero manuale per comprendere il disagio giovanile. Ma prima di diventare un educatore, Daniel si era perso sulla strada del crimine. A soli 17 anni, Daniel ha rapinato una banca. La strada del crimine l’ha portato dietro le sbarre del carcere minorile Beccaria. Sembrava fosse destinato, mentre invece – grazie alla comunità Kairòs di Milano – è riuscito a riprendere in mano le redini del suo destino. La ministra Marta Cartabia, in commissione Infanzia, ha voluto ricordare il suo incontro con Daniel, «che da bullo di periferia, con gravi reati alle spalle, è diventato a sua volta un educatore» .