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La ministra della Giustizia Marta Cartabia “blinda” la riforma del Csm, mettendo la parola fine alle polemiche degli ultimi giorni: il diritto di voto degli avvocati nei Consigli giudiziari non si tocca. E poco, dunque, potrà il parere di Palazzo dei Marescialli, almeno sul punto, parere nel quale era emersa la contrarietà della parte togata ad assegnare un ruolo all’avvocatura in merito alle carriere dei magistrati. L’intervento della Guardasigilli all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf (qui il testo integrale) non mirava però a scavare ulteriormente le distanze tra le due parti, bensì a rinsaldare il loro rapporto, sulla base di un principio semplicissimo: avvocatura e magistratura giocano alla pari - e l’una di fianco all’altra - all’interno del sistema giustizia, un sistema che può migliorare e cambiare solo se gli attori stringeranno una vera e propria alleanza. «La giurisdizione deve sempre parlare attraverso tutte le sue componenti - ha evidenziato -, essere espressione di questa cultura comune, di questa formazione comune che sta a tutti noi a cuore». I tempi di manovra per arrivare ad una riforma in tempo per l’elezione del nuovo Csm sono stretti, ma le forze politiche hanno già un programma di lavoro serrato per sciogliere tutti i nodi che attualmente non consentono una sintesi. Correre è d’obbligo, perché «è una riforma necessaria e improcrastinabile», come anche ribadito dal Presidente della Repubblica nel discorso di insediamento. Necessaria in particolare per «rafforzare la credibilità e l'autorevolezza anzitutto di un organo costituzionale, il cui volto è stato sfregiato da alcuni scandali che hanno contribuito a far perdere la fiducia dei cittadini verso la giustizia e verso la magistratura». La riforma, ha sottolineato Cartabia, è dunque il primo passo per il rinnovamento, lo stesso invocato dalla presidente del Cnf Maria Masi, lo stesso che «una corposa parte della magistratura» vuole, per «iniziare a scrivere una nuova pagina della storia della giustizia in Italia» e «riportare alla luce» il proprio volto migliore, quello delle tante toghe «che ogni giorno operano in modo riservato, con passione e dedizione accanto a voi avvocati in tanti laboriosi uffici giudiziari, al riparo dai venti degli scandali». Un passaggio, questo, che è servito per ribadire l’appartenenza di avvocatura e magistratura alla stessa comunità, nella quale i magistrati lontani dagli scandali rappresentano «i principali alleati» degli avvocati «nel restituire giustizia a chi ha subito torti e violazioni». Ed è proprio in nome di tale alleanza che «è stato previsto un maggiore coinvolgimento della classe forense», a partire dai consigli giudiziari, dove il ruolo degli avvocati non sarà più marginale. Non in una logica punitiva - «non si tratta di dare pagelle ai magistrati» - ma per offrire «elementi di riflessione aggiuntivi provenienti da chi osserva l'operare del giudice da un diverso punto di vista», collaborando «più intensamente», come già avviene all’interno del Csm. La ministra ha dedicato un lungo passaggio del suo intervento anche alla guerra in Ucraina, ricordando che «dove c'è giustizia c'è armonia e quindi bellezza e dove non c'è giustizia, l’ingiusto genera orrore, offende e deturpa». Ed è proprio ragionando sul conflitto che Cartabia ha ricordato il potere del diritto, nonché «l'importanza di poter disporre di istituzioni giudiziarie adeguate». Da qui la necessità «di non smettere mai di rafforzare le strutture giuridiche, sul piano internazionale come sul piano interno, ed è quello che da un anno a questa parte stiamo facendo insieme con il grande cantiere che si è aperto al ministero della Giustizia», a partire dal Pnrr. Un lavoro nel quale l’avvocatura ha svolto una parte importante, «con contributi di riflessione, pacati e costruttivi, a tutto il dibattito sui temi che ci riguardano». Cartabia ha citato in particolare la stretta collaborazione proprio con la presidente Masi, che con il suo discorso di ieri, ha evidenziato, «ci ha offerto spunti concreti» per poter migliorare l'ambiente giudiziario. L’obiettivo è arrivare ad un sistema capace di offrire risposte efficaci in maniera tempestiva, perché «la ragionevole durata del processo è un connotato identitario della giustizia». «Se non è rispettata la giustizia - ha concluso citando Sant’Agostino -, se non c'è il diritto, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Quando la giustizia si indebolisce e il diritto è oltraggiato resta solo la legge del più forte. Proprio in questo tempo segnato così profondamente da uno scenario di guerra e di conflitto brutale, rinnoviamo insieme il nostro impegno per ridare forza alla convivenza civile, attraverso il diritto e la giustizia».