Le dichiarazioni del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri sui giudici che “scarcerano nelle fasi successive” ha fatto ritornare alla mente il clima che si respirava negli anni 80, quando salì agli onori delle cronache il giudice della corte di Cassazione Corrado Carnevale. Ispirando la sua azione a uno dei capisaldi dello Stato di diritto, la presunzione d’innocenza, ben riassunta nella massima: meglio un colpevole fuori, che un innocente dentro, Corrado Carnevale, ora 90enne, non è mai stato simpatico a molti dei sui ex colleghi. Senza peli sulla lingua criticò anche il pool antimafia dove c’era Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perché li definiva “sceriffi”. Una cosa è certa. Non traspare da nessuna parte che Falcone e Borsellino ritenessero “colluso” con la mafia Corrado Carnevale. Non fecero mai nessuna insinuazione di questo tenore. Ma, nello stesso tempo, non nascosero che, a causa della sua proverbiale estrema puntigliosità, lo ritenevano un problema per l’esito del maxiprocesso costruito sul cosiddetto teorema Buscetta. Viceversa, non c’è da stupirsi se i mafiosi riposero le speranze in Carnevale. Oramai è storia che grazie a una idea di Falcone, l’ex ministro della giustizia Martelli attuò la rotazione del collegio giudicante, impedendo nei fatti al giudice Carnevale di presiedere la prima sezione della corte di Cassazione. Fu in quel momento che Falcone, agli occhi di Totò Riina, divenne un nemico da annientare. Corrado Carnevale non ha mai aderito ad alcuna corrente Corrado Carnevale è una persona che non ha mai aderito ad alcuna corrente della magistratura, e ciò è sconveniente per chi è desideroso di fare carriera. Fino al 1985, la carriera di Carnevale conosce un crescendo impressionante: in pochi anni brucia tutte le tappe e i record della magistratura. Dal 1986 in poi, a seguito della sentenza emessa dalla I sezione penale del Cassazione da lui presieduta nel cosiddetto processo Chinnici (rinviò alla Corte la sentenza per una nuova valutazione), inizia l'attacco e l'isolamento ai suoi danni. Sui giornali nasce il mito del giudice "ammazzasentenze". Il primo avviso di garanzia lo riceve dall’allora capo della procura di Palermo Gian Carlo Caselli e dall’allora procuratore Antonio Ingroia, il 23 aprile 1993. L'inchiesta dura dieci anni, fino all'assoluzione del 30 ottobre 2002. Ma per capire bene di che cosa stiamo parlando, dobbiamo analizzare le sentenze. Le uniche che cancellano anni e anni di maldicenze e accuse, riportando il tutto alla giusta dimensione dei fatti. E c’è voluta sempre la Cassazione a sentenziare che Corrado Carnevale non influenzò i giudici del suo collegio per favorire la mafia. Dopo dieci anni la sentenza definitiva di assoluzione La Corte suprema ha scritto nero su bianco che la decisione del giudice di secondo grado è «assolutamente carente nella individuazione di elementi che possano ritenersi davvero idonei a dimostrare che le deliberazioni della I. Cassazione, oggetto di contestazione, non furono espressione della volontà collegiale formatasi liberamente attraverso l'apporto di volontà individuali determinatesi autonomamente, indipendentemente da influenze e condizionamenti altrui, bensì il risultato del comportamento dell'imputato, illecito in quanto volto a favorire l'associazione criminale Cosa Nostra». Per questo la sentenza di condanna viene annullata dalla Cassazione. Un annullamento senza rinvio, poiché le lacune non possono essere colmate in un eventuale giudizio di rinvio. «Tanto si ricava – si legge nelle motivazioni della sentenza di Cassazione - dalla completa e minuziosa disamina degli atti compiuta in sede di merito, in cui si è indagato su ogni circostanza che a tal fine sembra rilevante. Indagine che tuttavia ha proposto o elementi inutilizzabili, o elementi già disattesi, o elementi non dotati di alcuna, rilevante significazione». In sostanza la sentenza viene annullata senza rinvio perché il fatto ascritto a Carnevale non sussiste. Magistrati, stampa e indignazione popolare Fine di un incubo, ma le stimmate rimangono, perché – come disse Carnevale stesso in una intervista apparsa tre anni fa nel numero di marzo della rivista della Camera penale di Roma “CentoUndici”, firmata da Valerio Spigarelli e Giuliano Dominici,- «facevo il lavoro dell’anatomopatologo, quello che fa l’analisi sul cadavere». Interessante sempre la sua testimonianza che fa comprendere il clima nel quale operavano i magistrati, il ruolo della stampa che cavalcava certi processi e l’inevitabile indignazione popolare. Corrado Carnevale racconta della lettura del ricorso contro l’ordine di cattura nei confronti di un famoso personaggio dell’epoca per omicidio. La lesse parola per parola davanti al collegio e alla fine il più anziano disse: «È acqua fresca». Allora Carnevale rispose: «Annulliamo!». I suoi colleghi però controbatterono: «E che vogliamo andare un’altra volta a finire sui giornali?». Un aneddoto che fa capire come la pressione politica e mediatica cercava di influenzare l’esito dei processi. L’ex giudice Carnevale se n’è infischiava, pagandone pure le conseguenze. Altri un po’ meno. E oggi, invece? I giudici hanno la forza di decidere sui grandi processi senza farsi influenzare dai mass media con tanto di pressione politica? La storia insegna che ci sono, esistono tuttora. Anche a rischio di finire potenzialmente alla gogna e ricevere insinuazioni di collusione dai propri colleghi. Nel nostro Paese i giudici vanno bene se condannano, ma non se assolvono.