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EUROPA
Non c’è pace per il sistema penitenziario italiano, e a ricordarcelo non sono le solite nostre pagine de Il Dubbio o la battaglia storica radicale portata avanti da pochissimi e sinceri politici, ma l’occhio vigile dell’Europa. Il nostro Paese continua a tenere in carcere persone con disturbi psichiatrici che dovrebbero essere trasferite in strutture adeguate. E i suicidi dietro le sbarre non accennano a diminuire. Ricordiamo che con il detenuto che si è impiccato sabato scorso al carcere di Pistoia, siamo giunti al 73esimo suicidio dall’inizio dell’anno. Sono questi i due problemi su cui il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha acceso i riflettori il 4 dicembre scorso, con una decisione che mette in fila ritardi, numeri preoccupanti e richieste pressanti alle autorità italiane.
Il documento arriva dopo anni di monitoraggio su tre casi arrivati alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il primo è quello di Sy, un detenuto che ha continuato a restare in carcere nonostante soffrisse di una condizione psichiatrica e nonostante i tribunali italiani avessero ordinato il suo trasferimento in una REMS, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza che dal 2015 hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari. Il secondo caso riguarda Citraro e Molino, genitori di un ragazzo morto suicida in carcere mentre soffriva di problemi psichiatrici. Il terzo è quello di Niort, dove si contesta la mancanza di una valutazione adeguata sulla compatibilità delle condizioni mentali del detenuto con la detenzione.
Per Sy e per un altro caso, quello di A. Z., il Comitato ha deciso che non servono altre misure individuali e ha chiuso la supervisione. Per Niort invece la situazione è diversa: le autorità italiane hanno fatto sapere che la compatibilità psichiatrica con il carcere è stata rivalutata e che il detenuto riceve cure regolari. Il Comitato chiede che venga mantenuto un monitoraggio stretto e che vengano garantite cure mediche e psicologiche adeguate.
LA RETE DELLE REMS: UN NODO ANCORA IRRISOLTO
Ma è sulle misure generali che il discorso si fa più pesante. Partiamo dai numeri delle REMS. Dal 2020 c’è stato un miglioramento generale nel ridurre il numero di persone tenute in carcere in attesa di essere trasferite in queste strutture. Nel 2024 si è registrato un calo significativo. Poi però nel 2025 i numeri sono risaliti. Il Comitato sottolinea che continuare a detenere persone per cui i giudici hanno ordinato il ricovero in REMS o in altre strutture appropriate resta un problema serio, perché si tratta di un rischio concreto di privazione della libertà contro la legge, secondo la Convenzione europea. Per questo chiede alle autorità di garantire che le decisioni giudiziarie vengano eseguite rapidamente per chi è ancora detenuto.
Il vero nodo è la rete delle REMS. Il Comitato parla chiaro: non ci sono stati progressi sostanziali nell’espandere questa rete. E ripete l’appello alle autorità perché intensifichino gli sforzi. C’è una nota positiva: sono stati stanziati fondi aggiuntivi per la regione Liguria. Ma il Comitato chiede che vengano garantiti finanziamenti adeguati in modo più ampio, soprattutto nelle regioni dove risulta che siano detenute più persone in attesa di trasferimento. Non basta costruire nuove strutture. Bisogna anche far funzionare quelle che già esistono. Il Comitato invita le autorità a garantire che il sistema REMS funzioni davvero, mettendo in pratica completamente l’accordo rivisto nel 2022 tra governo, regioni ed enti locali, e seguendo le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale sempre del 2022.
L’obiettivo è usare meglio le risorse disponibili, assicurare posti sufficienti e trasferimenti rapidi. C’è poi un aspetto che preoccupa in modo particolare il Comitato: la totale assenza di informazioni e valutazioni che erano state richieste in precedenza sulle misure adottate o previste per affrontare le violazioni degli articoli 5 paragrafo 5 e 34 della Convenzione nel caso Sy. Il richiamo è netto: le autorità devono fornire queste informazioni rapidamente.
SUICIDI: NUMERI PESANTI E MISURE INSUFFICIENTI
Passiamo al capitolo suicidi in carcere, legato al caso Citraro e Molino. Qui le autorità italiane hanno mosso qualche passo. Il Comitato prende atto che sono state adottate misure recenti: sono stati stanziati fondi per il triennio 2025- 2027, è stata approvata una legge che punta a rafforzare il sostegno psicologico e psichiatrico nelle carceri, e sono previsti altri interventi per migliorare la prevenzione dei suicidi. Adesso si chiede di sapere come verranno messe in pratica.
Ma i numeri parlano da soli e dicono cose pesanti. Il trend negativo nel numero di suicidi in carcere persiste e anzi si aggrava. Questo fatto sottolinea ancora di più l’urgenza di fare progressi concreti. Il Comitato richiama l’importanza di avere una strategia completa in questo campo e sollecita le autorità a garantire la piena attuazione del Piano nazionale di prevenzione dei suicidi del 2017. Un piano che prevede l’istituzione di piani regionali e specifici per ogni istituto penitenziario. Non solo: il Comitato invita anche a valutare se il Piano nazionale debba essere aggiornato per affrontare le sfide che stanno emergendo, incluso l’impatto del sovraffollamento carcerario.
C’è almeno un segnale positivo sul fronte della formazione. La Scuola superiore della magistratura organizzerà nel 2026 corsi di formazione mirati sulla valutazione della compatibilità delle condizioni di salute mentale con la detenzione. Il Comitato chiede di essere tenuto informato su come andranno questi corsi e incoraggia a continuare con la formazione su larga scala.
L’URGENZA DI RISULTATI CONCRETI
Infine, le scadenze. Le autorità italiane dovranno fornire le informazioni indicate al paragrafo 7 del documento - quelle sulle violazioni degli articoli 5 paragrafo 5 e 34 - entro il 30 marzo 2026. Per tutte le altre questioni ancora aperte, la data limite è il 30 settembre 2026. In sostanza, il quadro che emerge è quello di un sistema che si muove troppo lentamente. Le REMS non bastano, i trasferimenti non avvengono, i suicidi continuano.
Le autorità hanno messo in campo qualche misura, qualche stanziamento, qualche legge. Ma il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa chiede fatti, dati, risultati concreti. E soprattutto chiede che chi ha problemi psichiatrici non finisca o non resti in carcere quando la legge prevede altro, e che si faccia tutto il possibile per evitare che dietro le sbarre qualcuno arrivi a togliersi la vita.
La sensazione è che l’Italia sia sotto stretta osservazione. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se le promesse si trasformeranno in cambiamenti reali o se resteranno sulla carta, mentre nelle celle continueranno a esserci persone che non dovrebbero starci e altre che non ce la fanno più. Il messaggio che arriva da Strasburgo è che non basta “fare qualcosa”. Bisogna fare le cose giuste, e bisogna farle in fretta. Il monitoraggio continua, e l’Italia resta sotto osservazione. La speranza è che alla prossima scadenza, nel 2026, non ci si ritrovi a commentare ancora una volta una “tendenza negativa” o l’assenza di informazioni. Sarebbe l’ennesima sconfitta per lo Stato di diritto.


