Troppi suicidi, il sovraffollamento persiste ma a incidere è anche la grave assenza nei penitenziari di un supporto per la salute mentale. E ciò è un vero handicap per la prevenzione di questi eventi tragici che quest’anno sono in una crescita esponenziale. L’ultimo suicidio, il quarto negli ultimi 4 giorni, riguarda un detenuto di Ascoli Piceno. Siamo così arrivati a 44 reclusi che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. Il garante nazionale delle persone private della libertà ne ha dato notizia, rilevando che l’uomo aveva tentato il suicidio almeno sei volte in tre mesi e mezzo. Ogni storia è a sé ed è sbagliato ricondurre questi eventi tragici al solo problema di salute mentale, ma c’è un dato che non va sottovalutato ed è sempre Antigone, tramite il rapporto di metà anno, a farlo emergere: in alcune carceri dove è risultato un alto tasso di suicidi, risulta carcere l’assistenza psichiatrica.7

Il triste primato: tre casi a Foggia Regina Coeli e San Vittore

Tenendo a mente la sistematicità del problema, Antigone ha dato un breve sguardo agli istituti dove sono avvenuti più suicidi dall’inizio dell’anno. Con tre casi ognuno, al primo posto si collocano le Casa Circondariali di Roma Regina Coeli, Foggia e Milano San Vittore. Seguono con due casi la Casa di Reclusione di Palermo Ucciardone, la Casa Circondariale di Monza, la Casa Circondariale Genova Marassi e la Casa Circondariale di Pavia. In questo istituto nel 2021 si erano tolte la vita altre tre persone in poco più di 30 giorni. Con due decessi avvenuti tra il mese di giugno e luglio, si arrivano così a contare cinque casi di suicidi nel carcere di Pavia in soli nove mesi. Senza voler ricondurre un fenomeno così complesso alle carenze del singolo istituto, Antigone può però osservare come soprattutto le cinque Case Circondariali siano tutti istituti con situazioni piuttosto complesse. Tutte soffrono da anni di una situazione cronica di sovraffollamento, che nel caso di Foggia, Regina Coeli e Monza si aggira addirittura intorno al 150% della loro capienza. A San Vittore, Pavia e Regina Coeli più della metà della popolazione detenuta è di origine straniera. A Monza in particolar modo vi è un’elevata presenza di detenuti affetti da patologie psichiatriche e il 50% della popolazione è tossicodipendente. A Foggia vi è un educatore ogni 190 detenuti. Dai dati raccolti dall’Osservatorio, emerge poi come tranne a Pavia negli altri cinque istituti via sia una carenza, più o meno elevata, di specialisti psichiatri e psicologi rispetto alla media nazionale. Partendo da questo dato, Antigone sviscera la questione della cura mentale in carcere e l’assenza cronica di supporto. Sia nel 2021 che nel 2022, la media si attesta intorno alle 10 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psichiatri e intorno alle 20 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psicologi. Gli ultimi dati disponibili mostrano che Palermo Ucciardone, Monza e Foggia hanno una presenza molto inferiore rispetto alla media sia di psichiatri che di psicologi (Palermo: 5,14 ore psichiatri, 5,14 ore psicologi; Monza: psichiatri 6,4, psicologi 6,6; Foggia: psichiatri 3,4; psicologi 10). Regina Coeli ha una presenza molto inferiore alla media di psicologi (6,8 ore). San Vittore ha una presenza inferiore alla media per quanto riguarda gli psichiatri (8,4 ore). A Pavia la presenza di psichiatri è di 10,24 ore settimanali ogni 100 detenuti, mentre degli psicologi di 35,84 ore.

Tante le storie tragiche raccolte nel rapporto di Antigone

Antigone, nel suo recente rapporto, narra alcune storie tragiche di detenuti suicidi che avevano forme di disagio psichico. Dalle storie di queste persone emerge come vi fossero alcune situazioni di probabili disagi psichici. Su un giovane ragazzo di 25 anni morto all’Ucciardone era stata effettuata, proprio per presunto rischio suicidario, una perizia psichiatrica che non aveva però portato a nulla. A un uomo di 54 anni in custodia cautelare a Terni era stata da poco rigettata la richiesta di scarcerazione, presentata a causa di una forte depressione. Un uomo di 36 anni, detenuto da poco nel carcere di Foggia e a solo due mesi dal fine pena, pare soffrisse di problematiche psichiatriche. L’uomo di 70 anni si trovava invece da poche ore nel carcere di Genova in stato di fermo come detenuto con disagio psichico. Era stato arrestato in stato di shock e aveva già tentato di togliersi la vita pochi mesi prima. Oltre a queste storie, se ne aggiungono altre di particolare gravità, riguardanti persone con problematiche psichiatriche note e diagnosticate.

Un 21enne in carcere per il furto di un cellulare ha atteso 8 mesi il trasferimento in una Rems

Tra queste, Antigone rivela quella di G.T., un giovane ragazzo di 21 anni che secondo il Tribunale di Milano in carcere non doveva stare. Detenuto a San Vittore dall’agosto del 2021 per il furto di un cellulare, nel mese di ottobre il giudice aveva disposto il suo trasferimento in Rems (Residenza per le misure di sicurezza) in quanto una perizia psichiatrica dimostrava la sua incompatibilità con il regime carcerario, a causa di un disturbo borderline della personalità. Nella notte del 31 maggio, a otto mesi da quella pronuncia, G. T. si è tolto la vita. Nelle settimane precedenti ci aveva già provato altre due volte. Pochi giorni prima, il 26 maggio, in una cella dello stesso reparto di San Vittore, si era suicidato un altro giovane ragazzo. Si chiamava Abou El Maati, aveva 24 anni, era un cittadino italiano di origine egiziana. Altra storia tragica riportata da Antigone è quella di G.P., un uomo di 30 anni con problemi psichiatrici toltosi la vita il 28 giugno nel carcere di Bari, dove si trovava da appena due giorni. Dopo il suo arresto era stato condotto nella ex sezione femminile dell’istituto, inagibile da anni e adibita a inizio pandemia a luogo per svolgere i periodi di isolamento. Da tempo la sezione era però utilizzata di fatto come reparto per detenuti con patologie psichiatriche, nonostante non fosse in alcun modo adatta a tale funzione per carenze di spazi e di personale. Antigone riporta infine la storia di una donna, di cui il nome ad oggi è però sconosciuto. Si sa solo che era di origine romena, aveva 36 anni ed era detenuta da poco tempo all’interno dell’Articolazione per la tutela della salute mentale (ATSM) del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Nel pomeriggio del 10 aprile è stata ritrovata senza vita nel cortile dell’ex Ospedale psichiatrico giudiziario, al termine dell’ora d’aria.

La salute mentale resta il capitolo più problematico

Nell’ambito della questione delle condizioni di salute della popolazione detenuta, quello della salute mentale rimane il capitolo più significativo nei numeri e più problematico nelle risposte date dalle aziende sanitarie e dall’amministrazione penitenziaria. I numeri anzitutto continuano a fotografare il carcere come “psico-patogeno” dove il disagio psichico, diagnosticato e non, è diffuso, capillare e omogeneo sul territorio nazionale. I “disturbi psichici” rappresentano la metà delle patologie rilevate nella popolazione detenuta. Per avere un’idea della consistenza di questo dato, basti pensare che gli altri due gruppi di patologie più diagnosticate in carcere, che sono quelle del sistema cardiocircolatorio e delle malattie endocrine, del metabolismo e immunitarie, sono entrambi al 15% del totale delle patologie rilevate. Dunque il disturbo psichico è di gran lunga la prima categoria diagnostica nelle carceri italiane. Antigone, raccogliendo i dati direttamente dagli operatori sanitari delle singole carceri visitate nell’ultimo anno, ha rilevato che il 13% del totale della popolazione detenuta ha una diagnosi psichiatrica grave, in numeri assoluti significa oltre 7 mila persone. Solo per una piccola parte, dalla diagnosi è seguita una misura di tipo giudiziario. Una rilevazione statistica relativa alla sola Toscana presenta numeri ancora più significativi, sottolineando come su 1.744 persone sottoposte a visita medica in un anno, 610 avessero almeno un disturbo psichiatrico, pari al 34,5% delle persone sottoposte a controllo medico.