L’esposto del magistrato Stefano Rocco Fava contro l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone finisce definitivamente in soffitta per decorrenza dei termini. Dopo oltre due anni di rinvii e silenzi, dunque, finisce così l’intricata vicenda che è costata all’ex pm romano il trasferimento a Latina e il cambio funzioni, mentre si attende l’esito dell’udienza preliminare del processo che lo vede imputato assieme all’ex capo dell’Anm, Luca Palamara, per rivelazione del segreto d’ufficio. Il capo di imputazione si riferisce, appunto, all’esposto presentato da Fava contro Pignatone presso il comitato di presidenza del Cms.

Il caso di Giuseppe Pignatone

L’esposto era arrivato al Csm il 2 aprile 2019 ed aveva ad oggetto la riunione indetta da Pignatone il 5 marzo precedente, giorno in cui lo stesso procuratore aveva negato la sussistenza di motivi validi per astenersi nei procedimenti a carico dell’ex avvocato esterno dell’Eni, Piero Amara, e dell’imprenditore Ezio Bigotti. Astensione necessaria, invece, secondo Fava, dati i rapporti professionali tra il fratello del procuratore, Roberto Pignatone, 61 anni, professore associato di Diritto tributario con studio a Palermo, e Amara, che gli aveva conferito un incarico nel 2014. Fava, all’epoca pm del dipartimento reati contro la pubblica amministrazione, non aveva inoltre creduto al pentimento di Amara, che aveva iniziato a collaborare con i magistrati, chiedendo nuovamente il suo arresto per una ipotesi di bancarotta.

I vertici della Procura di Roma, però, si opposero a tale richiesta, sottraendogli il fascicolo. Da qui l’esposto, che per il magistrato si è rivelato, però, un boomerang: secondo i pm di Perugia, infatti, sarebbe stato una mossa escogitata da Palamara per screditare sia Pignatone sia l’aggiunto Paolo Ielo. Da qui anche l’accusa di essersi «abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d’udienza e della sentenza di un procedimento» per poter preparare l'esposto e, quindi, «per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita».

Ma se l’esilio di Fava è avvenuto in fretta - a luglio 2019 era già finito a Latina, su sua stessa richiesta, autorizzata da Terza e Prima Commissione -, lo stesso non può dirsi per l’iter dell’esposto, sparito completamente dai radar e congelato anche dalle indagini in corso a Perugia. Il fascicolo, infatti, è rimasto in mano al comitato di presidenza fino al 7 maggio, ovvero un giorno prima del pensionamento di Pignatone, come dichiarato a novembre del 2020 dal togato del Csm Sebastiano Ardita ai pm di Perugia.

L’iter in Prima Commissione, competente per i procedimenti disciplinari, si è avviato nelle sedute del 20 maggio e del 15 giugno 2020, con la richiesta di acquisire documentazione presso la Procura di Roma. Stando alla circolare sul procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale o funzionale, la fase istruttoria avrebbe dovuto concludersi nel giro di sei mesi. Un termine prorogabile per tre mesi nel caso «di motivata grave necessità», escluso il periodo di sospensione feriale dal 31 luglio al primo settembre 2019.

Il termine per far approdare il fascicolo in plenum, data la proroga tre mesi concessa, sarebbe stato, dunque, il 20 marzo 2020. Ma nel frattempo è intervenuta la pandemia, con la sospensione, stabilita tre giorni prima di quella data con il decreto “Cura Italia”, di tutti i termini, inclusi quelli perentori, relativi a procedimenti amministrativi, per il periodo compreso tra il 23 febbraio e il 15 aprile 2020, termine poi prorogato al 15 maggio. Il termine ha cominciato nuovamente a decorrere, dunque, dal 16 maggio 2020 fino all’ 11 giugno 2020, cui vanno sommati ulteriori 15 giorni per la formulazione, da parte della Commissione referente, della proposta da sottoporre al plenum.

Ma nulla da fare: arrivati al 26 giugno 2020 della relazione non c’era traccia e il procedimento si è estinto «per superamento dei termini stabiliti dalla normativa». Da qui l’archiviazione della pratica, all’ordine del giorno del plenum convocato per il 15 settembre, senza che sulla stessa sia mai stata spesa una parola.

Processo agli ex consiglieri del Csm

Nel frattempo, è ripreso davanti alla sezione disciplinare il processo ai cinque ex togati del Csm, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli, che a maggio del 2019 parteciparono, con Luca Palamara e i politici Cosimo Ferri e Luca Lotti, all’incontro all’hotel Champagne di Roma, dove si discusse di nomine ai vertici di alcune importanti procure italiane, innanzitutto quella di Roma.

Ieri, oggi e prossimo lunedì sono previste le arringhe delle difese, mentre la decisione potrebbe arrivare martedì 14 settembre, giorno in cui è prevista la replica della Procura generale della Cassazione. L'accusa ha chiesto la sospensione dalle funzioni per tutti e cinque gli ex togati: per Spina, Morlini e Lepre «nella massima entità», ovvero 2 anni, per gli altri di un anno. Ieri il difensore di Cartoni, l’avvocato Carlo Arnulfo, ha chiesto il proscioglimento del suo assistito.