L'Anm attacca duramente il governo per la scelta di rimettere «alla volontà delle parti la scelta sullo svolgimento da remoto delle attività nel processo penale» e l'introduzione «dell’innovativa previsione dell’udienza civile "da remoto necessariamente celebrata in ufficio"». In una nota, il sindacato dei magistrati stigmatizzano la decisione, a pochi giorni dalla conversione in legge del decreto 18/2020, di cancellarne «tutte le principali norme processuali».

Le critiche di Anm

«Modificando la norma di un precedente decreto appena convertito viene rimessa alla volontà delle parti la scelta sullo svolgimento da remoto delle attività nel processo penale e si introduce l’innovativa previsione dell’udienza civile "da remoto necessariamente celebrata in ufficio". Quest’ultima disposizione è irragionevole nella parte in cui, non riguardando i magistrati penali, amministrativi o contabili, richiede una presenza sul luogo di lavoro - in contraddizione con le perduranti esigenze di tutela della salute pubblica - proprio per i giudici che, mediante il processo civile telematico, possono condividere con le parti e con gli altri componenti del collegio tutti gli atti processuali senza necessità di consultazioni cartacee». Se davvero la presenza in ufficio del giudice civile - dice la Giunta Esecutiva Centrale dell’Anm - «diventa oggi la priorità, tanto da richiedere la decretazione di urgenza, lo si doti allora di aule di udienza e assistenza, come la legge e la dignità della funzione esigerebbero. Siamo di fronte a un altro caso di norma dal sapore insensatamente demagogico, che si inserisce in un quadro di interventi privi di progettualità e di consapevolezza delle reali esigenze organizzative del sistema giudiziario e che, di fatto, mette a rischio la salute della collettività imponendo ad alcuni lavoratori di recarsi in ufficio anche per attività che possono essere sicuramente svolte da remoto». Ancora una volta, poi, in materia di intercettazioni, «si rinvia un termine il giorno prima della scadenza, mentre il termine finale della fase intermedia (cd. fase 2) viene prorogato di un mese dopo che i rinvii delle udienze erano già stati fissati in previsione della scadenza al 30 giugno.Tutto questo in assenza di una assunzione di responsabilità del Ministro in materia di sicurezza dei palazzi di Giustizia, e dunque - conclude la nota - delle condizioni in cui rendere possibile la presenza fisica, che oggi si impone anche quando non necessaria, in evidente contraddizione con il persistere dell’emergenza sanitaria».

L'attacco al governo

«Nella storia della Repubblica non è mai accaduto che una norma processuale introdotta con Legge di conversione contenente modifiche ad un precedente Decreto Legge sia stata a sua volta emendata, il giorno stesso della sua entrata in vigore, da un ulteriore Decreto Legge contenente modifiche delle modifiche». Le toghe hanno scritto di assistere «sconcertate all’ultimo della serie alluvionale di atti normativi che dovrebbero guidare l’organizzazione della giustizia nella fase dell’emergenza; e sono ancor più sconcertate nel constatare che, a distanza di pochi giorni dalla conversione in legge del Decreto 18/2020, se ne cancellano tutte le principali norme processuali, senza che nessun elemento nuovo sia nel frattempo sopravvenuto in relazione all’emergenza sanitaria, senza che vi sia stata la minima verifica della funzionalità ed utilità di norme pensate per garantire l’esercizio della giurisdizione e senza che siano state indicate ragioni di carattere tecnico tali da smentire le ampie rassicurazioni che erano state fornite sulla funzionalità e sicurezza degli strumenti tecnologici apprestati per lo svolgimento delle attività da remoto». Si tratta di un intervento «incomprensibile nel suo impianto e nei suoi presupposti, che contiene norme che appaiono irrazionali».