Riscriveranno un giorno la storia del lodo Draghi e forse si scoprirà che il premier ha avuto un colpo di genio, una finta di quelle che riescono ai grandi campioni, da Garrincha in su. Prima mette sul tavolo un nuovo emendamento Cartabia che recepisce quasi tutte le richieste. Incluse quelle della Lega, ma soprattutto dei 5 Stelle. Tutte. Tranne una. Nel ddl penale riveduto e corretto in mattinata da Draghi e Cartabia cè un processo no limits almeno potenziale per il 416 bis e il terrorismo, oltre che per il narcotraffico in forma associativa e la violenza sessuale su minori o di gruppo. Cè persino lo scambio politico-mafioso, larcinoto 416 ter del codice penale. Manca una cosetta che, a confronto del resto, pare un dettaglio insignificante: la mannaia dellimprocedibilità non è esclusa per il 416 bis 1, larticolo che punisce i reati commessi da soggetti non intranei al consesso criminale ma che comunque «agevolano» i boss, ivi incluso il generico concorso esterno. Apriti cielo. Ministri 5 Stelle che fanno sapere alle agenzie «così non ci stiamo». Sembra una barzelletta. Consiglio dei ministri sospeso, capigruppo e commissione Giustizia della Camera disperate, ad alambiccare sui tempi del voto. Tragedia politica. Tutto quanto sopra si verifica poco prima delle 15. Poi dopo quasi tre ore, la sorpresa: «Accordo raggiunto». Lo comunica proprio uno dei ministri pentastellati, il responsabile ai Rapporti col Parlamento Federico dIncà: «Accordo unanime». Roba da non credere. Cosa è successo? Testualmente, che Mario Draghi presenta ai ministri, per il secondo tempo della riunione a Palazzo Chigi, un ulteriore emendamento Cartabia, il terzo della serie se si considera quello salutato con approvazione dagli stessi grillini l8 luglio scorso. E cosa cambia nella terza e ultima bozza, quella che sigilla il via libera politico al ddl penale? Che i famosi reati del 416 bis 1, quelli appunto di concorso esterno o che agevolano lassociazione mafiosa, rientrano in un «regime speciale»: sono fulminati da improcedibilità dopo 6 anni in appello (5 anni dal 2025 in avanti). Giubilo. Riforma fatta. Si corre in commissione, da domani mattina, e poi in Aula, non più tardi di dopo domani. Su queste colonne era stato anticipato qualche giorno fa, ma non con un carico di suspence degno di Hitchcock (o Garrincha).Cè un ulteriore colpo di classe, nellaccordo al cardiopalmo siglato nel pomeriggio, e porta stavolta la prima firma della professoressa Marta Cartabia: come spiega la stessa guardasigilli a Consiglio dei ministri appena sciolto, cè pure «limpegno a ritirare tutti gli emendamenti che erano stati presentati dalle forze di maggioranza», per «concludere il lavoro in Parlamento su questa importantissima riforma prima della pausa estiva». Ergo, in commissione Giustizia verrà approvato il solo maxiemendamento Cartabia. Da 400, le proposte dei gruppi si riducono alle sole poche decine che provengono da Fratelli dItalia. Al momento di andare in stampa lAula resta formalmente convocata per oggi, ma uno slittamento a domani non guasterebbe i piani di Draghi e Cartabia: resterebbe intatta la possibilità di ottenere il contingentamento dei tempi nellemiciclo di Montecitorio, in virtù della norma che ne consente lattivazione «dal mese successivo alla presentazione delle misure in Assemblea». Dettaglio che contribuisce a rendere lidea di un piccolo capolavoro di astuzia politica. Di sicuro, la vittoria oltre che al premier va ascritta alla ministra della Giustizia, capace della pazienza necessaria a incassare cazzotti nello stomaco senza perdere la lucidità per il colpo decisivo. «È una giornata importante, lunghe riflessioni e lavoro per venire a un accordo, cè stata unapprovazione allunanimità, con la convinzione di tutte le forze politiche» dice Cartabia. Che aggiunge: «Abbiamo apportato degli aggiustamenti alla luce del dibattito molto vivace sviluppato in queste settimane sia da parte delle forze politiche che degli uffici giudiziari». Riferimento innanzitutto alle obiezioni di Nicola Gratteri e Federico Cafiero de Raho sullimprocedibilità per i reati di mafia. «Lobiettivo è garantire una giustizia celere allinterno della ragionevole durata del processo e, allo stesso tempo, che nessun giudizio vada in fumo». Come ci si arriva, in dettaglio? Con larticolo 14 bis, riveduto e corretto, del ddl 2435, lormai mitologica riforma del processo penale, presentata lanno scorso alla Camera da Alfonso Bonafede. In particolare, il 14 bis è immutato nella parte già acclamata a Palazzo Chigi a inizio luglio, vale a dire per lintroduzione dellimprocedibilità dopo 2 anni in appello e 1 anno in Cassazione, esclusi i reati punibili con lergastolo e chiarito che limputato possa rinunciare alla morte del processo esattamente come per la prescrizione. La riformulazione condivisa oggi allunanimità dai ministri prevede innanzitutto la norma transitoria suggerita dal Pd, in base alla quale, fino al 31 dicembre 2024, il tempo limite oltre il quale il giudice dichiara improcedibile il giudizio è innalzato a 3 anni in secondo grado e a un anno e 6 mesi in Cassazione. Cè quindi un triplo regime speciale. Il primo qualora il giudizio dimpugnazione sia «particolarmente complesso»: in tal caso, il giudice può concedere una proroga di un anno in più in appello e 6 mesi in sede di legittimità. Il secondo regime speciale, decisivo per lintesa coi 5 Stelle, riguarda appunto larticolo 416 bis 1, per il quale il giudice potrà concedere «ulteriori proroghe» di un anno in appello, fino a un totale di 6 anni (che diventano 5 per le impugnazioni proposte dal 1° gennaio 2025 in poi). Infine la terza eccezione, che lascia potenzialmente infinite le «ulteriori proroghe» a disposizione del giudice dappello (e della Suprema Corte) per i seguenti reati: 416 bis, scambio politico mafioso, terrorismo (se la pena prevista non è inferiore a 5 ani), ma anche i reati inseriti su input di Matteo Salvini e Giulia Bongiorno, ossia la violenza sessuale su minori o di gruppo e lassociazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Proroghe analoghe anche per i giudizi susseguenti a rinvio in appello. A sfibrante partita chiusa, il presidente dellUnione Camere penali Gian Domenico Caiazza fa comunque notare che gli scontri a cui si è assistito restano «finalizzati a ottenere norme di valore solo simbolico e mediatico». Il responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa ricorda che «la riforma Bonafede è definitivamente archiviata» e che «questa» è «la notizia». Matteo Renzi infierisce sulla prescrizione voluta tre anni fa dal Movimento: è «il caro estinto». Salvini esprime «soddisfazione», e Andrea Orlando nota il superamento della «irragionevole riforma» del suo successore a via Arenula. Fino a Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione, che pure chiosa in modo indovinato: «Viene finalmente cancellato il fine processo mai e già questo risultato giustifica ampiamente ogni mediazione». Forse è davvero così.