Cinque giorni fa, l’Agi ha diffuso la notizia di una donna incinta che ha perso il bambino dopo essersi sentita male nel carcere di San Vittore, dove era arrivata in esecuzione di un ordine di arresto.

Il neonato è morto nell'ospedale in cui è stata trasportata in seguito al malessere. Il fatto riportato dall’Agi è accaduto nei giorni scorsi dopo che il 30 maggio è entrata in vigore un’ordinanza della Procura di Milano in base alla quale è diventato obbligatorio l’ingresso negli istituti di pena delle donne incinte o con bimbi di un anno di età in presenza dell’ordine di esecuzione di un arresto. Una svolta che ha provocato le proteste della Camera Penale perché la Procura ha revocato una precedente circolare del 2016 nella quale si raccomandava al contrario di non eseguire questi ordini di arresto.

Ebbene l’associazione Antigone, a inizio giugno, durante la visita nel carcere di milanese di San Vittore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, ha incontrato 8 donne in stato di gravidanza. Un numero altissimo, che non ha pari nel resto del Paese. Oltretutto- aggiunge - in un carcere dove manca un servizio ginecologico e medici specialisti. Alla delegazione dell’associazione avevano raccontato anche di una nona ragazza, all’ottavo mese di gravidanza, portata d’urgenza in ospedale qualche settimana prima. Ed è proprio quella ragazza che all’arrivo in ospedale ha perso il suo bambino. Quella giovane donne - sottolinea Antigone - sapeva che la sua gravidanza aveva delle complicanze e che il suo bambino sarebbe probabilmente nato prima del nono mese. I medici le avevano raccomandato di recarsi immediatamente in ospedale in casi di dolori. Nel frattempo è stata arrestata.

«La legge italiana - sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - permette che la donna in caso di gravidanza possa non entrare in carcere ed essere sottoposta a diversa misura. Si tratta di una scelta di civiltà, che tutela la salute della donna e del bambino». Dichiara ancora Gonnella: «Sul caso specifico chiediamo si faccia piena luce, accertando le responsabilità e chiarendo cosa è davvero successo quel 30 maggio nel carcere di San Vittore e quanto tempo è trascorso da quando la donna ha iniziato a lamentare dolori al suo ricovero in ospedale». E conclude: «Vanno chiarite le modalità di trasporto della donna in ospedale: se sia stato fatto sotto controllo medico e in ambulanza oppure se la donna sia stata ammanettata e accompagnata in ospedale scortata solo dalla polizia penitenziaria. Serve inoltre che si riservi maggiore attenzione alla tutela della gravidanza».