Una delle tante misure afflittive al 41 bis è la discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria nel vietare alcuni canali televisivi. Nel caso particolare parliamo del detenuto Carmine Amato, classe 1981, recluso al carcere duro di Viterbo.

Dopo il reclamo respinto dal magistrato competente, il recluso ha fatto ricorso al tribunale di sorveglianza di Roma. Quest’ultimo ha accolto il ricorso sviluppando una serie di argomenti contrari a quanto affermato dall'Amministrazione penitenziaria e dal magistrato di Sorveglianza di Viterbo, ritenendo che il diritto all'informazione del detenuto si attuasse anche attraverso la sincronizzazione del canale invocato dal ristretto. Il ministero della Giustizia ha fatto ricorso in Cassazione e quest’ultima l’ha ritenuto fondato, annullando la decisione del tribunale.

Per inquadrare la questione, bisogna ripercorrere la vicenda. Con l'ordinanza del 28 ottobre del 2020, il magistrato di Sorveglianza di Viterbo ha respinto il reclamo del recluso al 41 bis. Il giudice ha argomentato l'infondatezza della doglianza per l'assenza di violazioni della legge penitenziaria e del relativo regolamento da parte dell'Amministrazione penitenziaria, da cui derivava al detenuto un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti e in particolare del diritto all'informazione, adeguatamente garantito, nella specie, dalla possibilità di fruire di altri canali televisivi, secondo la previsione dell'art. 14, Circolare Dap. del 2/ 10/ 2017, secondo la quale «la visione dei programmi sarà limitata ai principali canali della rete nazionale vale a dire pacchetto Rai (1- 2- 3- 4- 5, News, Movie, Scuola, Storia, Rai Sport I e 2, Premium, Yoyo, Gulp), Canale 5, Rete 4, Italia Uno, La7, Cielo, Iris e Tv 2000, preventivamente sintonizzati e abilitati dal tecnico di fiducia della Direzione».

Il detenuto Carmine Amato non si è arreso e ha proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza di Roma. Quest’ultimo gli ha dato ragione sviluppando una serie di argomenti contrari a quanto affermato dall'Amministrazione penitenziaria e dal magistrato di Sorveglianza di Viterbo, ritendendo che il diritto all'informazione del recluso si attuasse anche attraverso la sincronizzazione del canale privato Tv8 e che la mancata possibilità di fruire della relativa visione concretizzasse una lesione del diritto d'informazione, da dover assicurare anche nel regime del 41bis. Inoltre, il tribunale di sorveglianza di Roma ha osservato che non erano attuali le esperienze d'impiego del canale Tv8 per veicolare messaggi all'esterno, né per ricevere informazioni dal contesto associativo, di cui il detenuto era stato parte.

Il ministero della Giustizia, però, fa ricorso in Cassazione, dolendosi, a detta sua, della erronea interpretazione dell’articolo 41bis, comma 2 quater, lett. f) e dell'art 69, comma 6, lett. b) dell’ordinamento penitenziario avente ad oggetto il trattamento dei detenuti, ai sensi dell'art 606, comma 4, lett. 13) del codice di procedura penale. Secondo il ricorso del ministero, la doglianza va valutata,

in particolare, non considerandone in maniera isolata il contenuto, ma l'insieme dei canali televisivi già disponibili per il detenuto, con la conseguenza che appare difficile ipotizzare che la mancata fruizione del canale in questione, richiesto dal detenuto, determini una lesione grave e attuale del diritto all'informazione.

Secondo il ministero, quindi, risulterebbe erronea l'ordinanza impugnata, tanto nella parte in cui aveva ritenuto sindacabile l'esercizio della discrezionalità amministrativa in ordine alla scelta dei canali Tv da rendere accessibili, quanto nella parte in cui ha ritenuto leso il diritto all'informazione, nonostante la possibilità di accedere a un'ampia gamma di canali televisivi.

Per la Cassazione, nello specifico la sentenza numero 5361, il ricorso è fondato. Secondo i giudici supremi, la discrezionalità, nella specie, è stata esercitata in maniera del tutto corretta nell'ambito di un provvedimento organizzativo di portata generale, rispetto alla quale non è configurabile alcun diritto soggettivo del detenuto. Non solo. «L'intervento del tribunale di Sorveglianza nell'ambito organizzatorio – scrivono i giudici della Cassazione determina un'ingerenza in difetto di ogni presupposto legittimante l'esercizio del potere, non essendovi lesione di un diritto soggettivo, né un fatto attuale e grave che legittimi l'intervento del magistrato di Sorveglianza».

Anzi, la Cassazione prosegue sottolineando che, come correttamente osserva il ministero ricorrente, la verifica va compiuta tenendo presente non il contenuto del singolo diritto che si assume leso, relativo alla visione di un canale televisivo, «ma l'insieme dell'offerta già garantita al soggetto ristretto, in funzione della tutela del diritto all'informazione, qui ampiamente assicurato anche senza l'allargamento della sincronizzazione al canale Tv8».

Quindi, secondo la Cassazione la scelta penitenziaria di non consentire l'accesso a canali televisivi diversi da quelli di cui alla circolare del Dap del 2 ottobre 2017 «non incide, in definitiva, sul diritto all'informazione garantito dall'accesso alla stampa periodica e dall'offerta televisiva autorizzata, ma è una forma di attuazione dell'esercizio in concreto del diritto che risulta riservata alla stessa Amministrazione penitenziaria e alla sua discrezionalità».