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La Sessione ulteriore del Congresso Nazionale Forense che si svolgerà questo fine settimana arriva in un momento cruciale. Si tratta della prima occasione di confronto in presenza, dopo mesi di stallo forzato, utile a riaffermare la voce dell’avvocatura nel dibattito pubblico mentre la giustizia torna al centro dell’agenda politica e dell’attività parlamentare. Quello che si svolgerà il 23 e il 24 luglio presso l’Hotel Ergife a Roma non sarà un Congresso come gli altri perché i temi sul tavolo sono decisivi. Siamo nel bel mezzo di una svolta “epocale” che può cambiare il paradigma della giustizia italiana: quella penale e, in una direzione meno rassicurante, quella civile. In queste ore si gioca il destino del diritto del nostro Paese ma anche il destino di migliaia di avvocati. E come ha sottolineato la presidente facente funzioni del Consiglio Nazionale Forense Maria Masi, «l’occasione non sarà sprecata se saremo capaci di cogliere l’opportunità non solo di fare analisi ma anche sintesi, con un esercizio utile di medietà tra quello che ci viene proposto come unico mezzo possibile per conquistare l’Europa e quello di cui non possiamo fare a meno per preservare l’identità di un ordinamento che al suo interno può e deve trovare le risorse necessarie al cambiamento». Proprio la parola “identità” è la formula chiave utilizzata da Masi nel corso della conferenza stampa di presentazione del Congresso che si è tenuta ieri al Cnf alla presenza del coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense, Giovanni Malinconico, del presidente di Cassa forense, Valter Militi, e del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Antonino Galletti, con l’introduzione del Tesoriere del Cnf Giuseppe Gaetano Iacona. È importante che l’avvocatura non smarrisca la propria identità, ha ribadito Masi, in queste ore febbrili per la giustizia in cui si rischia di perdere di vista il principio che deve sottendere a ogni prospettiva di riforma: la tutela dei diritti. «Le riforme della giustizia civile e penale delineate dai maxi emendamenti governativi rischiano di disattendere gli obiettivi indicati dall’Onu nell’Agenda 2030, cioè la garanzia di accesso universale alla giustizia», è l’allarme lanciato dalla presidente del Cnf. «È prevista una forte contrazione dei tempi del processo ma con il pericolo che a rimetterci siano le garanzie di difesa, configurando regimi di preclusioni, sanzioni e filtri che danneggiano i cittadini e che non possono trovare giustificazione alcuna soprattutto se proposti in un’ottica di ottimizzazione del sistema e riduzione dei tempi dei processi», ha spiegato ancora la presidente della massima istituzione forense. Che a proposito dei fondi europei destinati alla giustizia, ha evidenziato come il cambiamento non possa avvenire investendo esclusivamente sulle riforme del rito senza porre al centro l’assetto organizzativo con le sue criticità: dalla carenza cronica di organico e di risorse, allo sviluppo delle infrastrutture digitali. La proposta del Cnf, inviata al governo alla fine dello scorso anno per l’individuazione degli strumenti utili al Recovery plan, partiva da un «presupposto chiaro», ha ricordato Masi. «Il settore della giustizia non può essere revisionato soltanto in termini di “tagli” – ha concluso la presidente del Cnf. Serve un cambio di prospettiva, una nuova cultura riformatrice rivolta costantemente al miglioramento del servizio per cittadini e imprese, attraverso tre coordinate interconnesse: la razionalizzazione e semplificazione del quadro normativo esistente; l’investimento nell’organizzazione della giustizia; la formazione di professionalità di alto livello e l’implementazione di competenze specifiche degli operatori del settore». Pnrr e riforme processuali saranno al centro della prima parte del Congresso, nel corso della quale è attesa anche la partecipazione della ministra della Giustizia Marta Cartabia. Ma molto si discuterà anche del ruolo dell’avvocatura e delle riforme ordinamentali. «È il momento per l’Avvocatura di far sentire la propria voce in maniera unitaria», ha spiegato Malinconico. E non si tratta certo di far prevalere interessi di parte, ha chiarito il coordinatore dell’Ocf, ma di ribadire «quelli che sono elementi imprescindibili del diritto e dei diritti dei cittadini». «Il Congresso - ha aggiunto - è il momento ideale in cui la pluralità di posizioni in seno al mondo forense può trovare la sintesi adeguata, offrendo una posizione comune e autorevole, forte della voce di 240 mila avvocati italiani». D’altronde «la giustizia è il luogo in cui si cura la sofferenza della nostra società», ha efficacemente sintetizzato Malinconico. E il dibattito non può che declinarsi su tre piani convergenti: quello interno all’avvocatura, quello rivolto al legislatore e quello mirato ai cittadini. «La riforma Cartabia per il processo penale in parte ci soddisfa – ha concluso il coordinatore dell’Ocf - ma assistiamo increduli a un dibattito che sembra rimettere in discussione alcuni punti cardine come la prescrizione, molte le perplessità invece sul civile». Dalle difficoltà emerse con l’emergenza sanitaria è partito Valter Militi per introdurre invece al tema delle misure assistenziali previste per i professionisti. Che non sempre hanno centrato «l’obiettivo». «L’assistenza tout court – ha spiegato Militi – si è rivelata non idonea perché aiuta a sopravvivere ma non prevede margini di sviluppo». «Se lo Stato ritiene che una Giustizia efficiente garantisca il rispetto dei diritti dei cittadini, agevoli il corretto funzionamento del mercato e delle transazioni economiche, renda attrattivi gli investimenti nel nostro Paese, impieghi le risorse necessarie. Cassa Forense, senza alcun contributo statale, subendo peraltro un’ingiustificata tassazione sulle misure di sostegno che va ad erogare, ha impiegato, nell’ultimo anno, oltre 100 milioni di euro per misure di welfare attivo a favore dei propri iscritti», ha concluso Militi. Sulle «drammatiche carenze delle piante organiche, tanto della magistratura, quanto del personale amministrativo» è tornato in chiusura Antonino Galletti, che ribadisce la necessità di investire tanto sull’innovazione tecnologica quanto sull’edilizia giudiziaria «oramai fatiscente e inadeguata». «Senza queste fondamenta, premessa di qualsiasi riforma del processo - ha chiosato Galletti - tutto si riduce in operazioni di chirurgia plastica sui codici, interventi di facciata che possono forse ingannare l'Europa per ricevere i finanziamenti, ma non producono in concreto alcun beneficio per gli avvocati, ma soprattutto per i cittadini».