«Il nostro è un lavoro estremamente delicato e alcune criticità devono essere messe in conto quando si è anche genitore». L’avvocata E. S. del Foro di Padova ha seguito con grande interesse la vicenda della collega romana Ilaria Salamandra. Alcune questioni, secondo E.S., vanno affrontate nel processo e non all’esterno del processo con il pericolo di provocare sterili contrapposizioni.
La vicenda di E.S. ha fatto giurisprudenza e si ricollega al tema del legittimo impedimento, che tanto ha tenuto banco negli ultimi giorni. Il caso che la vede protagonista nasce nell’anno della pandemia, alla fine del 2020, in occasione di un procedimento penale davanti al Tribunale di Milano. «Tutto si è svolto in Tribunale e tutto si è chiuso sempre in un’aula giudiziaria con una sentenza», spiega al Dubbio.
Il 4 novembre 2020 l’avvocata padovana presenta ai giudici milanesi un’istanza di legittimo impedimento. Nelle motivazioni richiama i provvedimenti delle autorità sanitarie, che, nel frattempo, si sono susseguiti in quell’anno difficile. Siamo in piena emergenza pandemica: troppo rischioso recarsi nel Tribunale del capoluogo lombardo, frequentando inevitabilmente luoghi pubblici, utilizzando mezzi pubblici. L’esigenza della professionista è quella di proteggere dal contagio da Covid-19 prima di tutto la figlia, bambina con sindrome di Down e con fragilità alle vie respiratorie. I giudici del Tribunale di Milano si dimostrano però inflessibili. In quella occasione ritennero di non accogliere l’istanza per legittimo impedimento, presentata dall’avvocata. «Non si ravvisa allo stato – scrisse il Tribunale di Milano, che confermò sia lo svolgimento dell’udienza, sia la prosecuzione dell’istruttoria dei testimoni presenti - né viene prospettato un impedimento giuridicamente accettabile. Si rigetta l’istanza di rinvio, tenuto conto del prolungarsi per lungo tempo del procedimento in questione».
Pochi giorni fa la Corte d’appello di Milano è intervenuta sui motivi d’appello sollevati dalla difesa di E.S., fra questi, in via principale la questione del legittimo impedimento sollevata dall’avvocata quasi tre anni fa. Con sentenza depositata lo scorso 11 aprile, la Corte D’Appello ha dichiarato nulla la sentenza di primo grado limitatamente all'imputata difesa della professionista padovana, «in quanto legittimamente impedita». «Si trattava – commenta E.S. - di un caso di forza maggiore per cui la sottoscritta non avrebbe potuto sposarsi da Padova a Milano, in un momento particolarmente critico per effetto della pandemia. Il 4 novembre 2020 sono stata costretta a scegliere fra la mia professione e l'essere genitore di una bambina down, con precisi obblighi di tutela. Non ho ritenuto giuridicamente condivisibile il bilanciamento dei valori costituzionali operato dal Collegio di primo grado e per questo ho formulato uno specifico motivo di impugnazione. Pochi giorni fa la Corte d'Appello di Milano, Sezione II, ne ha dichiarato la nullità. Il processo andrà rifatto per la mia assistita».

I giudici hanno configurato una lesione del diritto di difesa, ma anche del diritto alla salute di persona fragile, ingiustamente parificato a qualsiasi altro bambino, nonostante le criticità conseguenti alla propria disabilità. I giudici di secondo grado sono molto chiari e hanno fatto giurisprudenza su un aspetto rilevante in materia di tutela della persona fragile e di chi presta loro cura. «Osserva in proposito la Corte – si legge nella sentenza – che lo svolgimento dell’udienza dibattimentale, in un periodo di fortissima recrudescenza del virus (basti pensare che solo dopo due giorni il Consiglio dei ministri ebbe a deliberare il secondo e ancora più lungo periodo di lockdown), avrebbe esposto il difensore al rischio, estremamente concreto, di contrarre il virus e di trasmetterlo alla figlia, soggetto particolarmente vulnerabile e ad alto rischio di morte laddove avesse contratto il virus, come documentato con apposita certificazione medica con la quale appunto si rappresentava la presenza nel suo nucleo familiare di un soggetto vulnerabile, oltre che dal documento dell’Istituto superiore di sanità del 29.09.2020 nel quale si attesta che la mortalità, nei soggetti con sindrome di Down avrebbe potuto essere di ben dieci volte superiore rispetto alla popolazione in generale».
Sono due i passaggi della Corte d’appello di Milano particolarmente significativi nella vicenda professionale ed umana dell’avvocata. Il primo concerne l’istanza difensiva che veniva respinta dal Tribunale. «Senza che – scrivono i giudici – delle ragioni giustificative del respingimento si facesse riferimento nel provvedimento impugnato, nonostante la certificazione medica prodotta che attestava la sussistenza di un legittimo impedimento, rilevante ai sensi dell’articolo 420-ter, comma 5, del Codice di procedura penale, la cui pretermissione ha concretizzato una nullità assoluta e insanabile, rilevante ai sensi degli articoli 178 e 179 c.p.p.». Il secondo passaggio, destinato a fare giurisprudenza, riguarda le conseguenze del diniego della legittima istanza di rinvio: «Ha costretto il difensore a scegliere tra la salvaguardia della salute della propria figlia e l’esercizio della professione, in palese e grave violazione dei principi e dei diritti costituzionalmente riconosciuti dall’articolo 24 e dall’articolo 32 della Costituzione».
E.S. sottolinea la necessità che certe battaglie siano essere fatte nel processo, seguendo le regole del processo e cercando di cambiare le regole di un sistema dall'interno non fuori dal processo. Come avvocati dobbiamo difendere il processo e rispettarlo, lavorare per creare giurisprudenza che aiuti gli operatori del diritto nell'applicazione della legge, per creare giurisprudenza che ci legittimi. Ho sempre pensato che l’essere avvocato significhi assumere un preciso ruolo, e questo ruolo, questo mestiere ha dei costi. Essere avvocati significa sapere sino a dove possiamo arrivare nel rispetto delle regole. Se il giudice non le rispetta, dobbiamo impugnare e lavorare in questa direzione».