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Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania non sta patendo una fuga degli iscritti. I dati parlano chiaro e dimostrano una tendenza che si consolida nel tempo. Indossare la toga, dopo la pratica forense, è un obiettivo ancora ambito per tanti professionisti catanesi. Nel 2020 l’Ordine ha registrato 134 nuove iscrizioni, mentre le cancellazioni sono state 99. Quest’anno, sino ad oggi, i nuovi iscritti sono stati 146 contro le 52 cancellazioni a domanda. Entrambi i dati del 2021 sono destinati ad aumentare sino alla fine dell’anno, ma è presumibile, come rileva il presidente del Coa di Catania, Rosario Pizzino, che non si avrà un numero di cancellazioni dall’albo particolarmente preoccupante. La tendenza nella città etnea è simile al resto d’Italia. I concorsi pubblici banditi o in corso di pubblicazione possono rappresentare l’occasione della vita per trovare certezze nella Pubblica amministrazione. I quasi 35mila posti già banditi nei concorsi dei ministeri e degli enti locali attirano i legali. «Anche a Catania – dice al Dubbio Rosario Pizzino -, un discreto numero di avvocati, in prevalenza donne e nella fascia di età tra i 36 e i 45 anni, entrerà nei ruoli del ministero della Giustizia. Si tratta di colleghi preparati, che, evidentemente, trasferiranno le loro competenze negli uffici giudiziari, e ciò a beneficio di tutti. Ci attendiamo, a breve, ulteriori partecipazioni ad altri concorsi della PA e, in particolare, per l’accesso all’ufficio del processo. In tal caso si tratterà di un apporto qualificato ed utile al miglior funzionamento dei servizi giudiziari». Nel distretto della Corte d’appello di Catania sono previste 331 assunzioni al termine del concorso pubblico riguardante l’ufficio del processo. Quanto è difficile fare l'avvocato negli ultimi anni in una regione che continua a pa-tire anche la fuga di cervelli? «Le difficoltà legate all’esercizio della nostra profes-sione – riflette il presidente del Coa catanese - durano da molti anni e hanno avuto cause diverse. In primo luogo la crisi economica del sistema-Italia iniziata nel 2007, e che, nel nostro territorio, storicamente, è più accentuata rispetto ad altre regioni». Un aspetto sul quale si sofferma Pizzino è quello dell’iniquità dei compensi professionali e le difficoltà di realizzo. «I clienti – evidenzia - pagano male e sempre più in ritardo, ma la pressione fiscale e previdenziale, invece, è sempre puntuale ed implacabile. Tutto ciò determina difficoltà ad assolvere gli oneri verso la Cassa forense. Su queste condizioni incidono i costi sempre più alti per l’accesso alla giurisdizione, che scoraggiano i cittadini, le spese di gestione degli studi, settore nel quale le as-sociazioni professionali e le società tra professionisti non registrano ancora, nel nostro Distretto, numeri apprezzabili. La crescente inflazione degli albi, l’insufficiente tutela delle nostre riserve di competenza, e l’esponenziale e decennale riduzione dell’appeal della figura dell’avvocato, completano il quadro». Secondo Pizzino, «la pandemia non è stata la causa scatenante delle difficoltà richiamate, ma le ha certamente acuite, riportandole all’attenzione del dibattito tra gli avvocati». Ci sono dei momenti storici in cui il dibattito è destinato ad infervorare i protagonisti di vari mondi, compreso quello dell’avvocatura. «Ogniqualvolta si registra un periodo di crisi economica – aggiunge il presidente degli avvocati etnei -, si apre la discussione sulle difficoltà che affrontiamo nello svolgimento della nostra professione. Proprio questo è stato un periodo fortemente critico, con le misure emergenziali che hanno limitato la nostra attività professionale e gli effetti del lockdown sull’economia del nostro territorio, cronicamente depressa. Del resto, i redditi riportati dai report di Cassa, prevalentemente attestati su valori medio-bassi, sono eloquenti».Il quadro appena descritto non deve far sprofondare nello scoramento; deve indurre a riflessioni senza lacrime di coccodrillo e, soprattutto, senza andare fuori traccia. In futuro, a detta di Pizzino, l’avvocatura non dovrebbe patire un’emorragia di iscritti. La guardia va tenuta alta, comunque, e gli interventi devono essere coerenti. Più che fuga dalla professione stiamo assistendo ad una fuga dal reddito basso. «All’interno dell’avvocatura – afferma - si nota una evidente contraddizione. Sino a ieri ci si lamentava del sovraffollamento degli Albi, ritenuto, anche a ragione, una delle principali cause della nostra crisi. Oggi ci si straccia le vesti per quella che mediaticamente viene definita la fuga dalla professione. La riduzione numerica degli iscritti è un fenomeno chiaramente congiunturale viste le questioni economiche e le obiettive difficoltà di tanti colleghi, giovani e donne, soprattutto, che spingono verso il cosiddetto posto fisso ed un futuro più sicuro. Ma non solo. Va considerato che, dopo anni di blocco delle assunzioni e di pensionamenti, si sono riaperti i concorsi nella PA, tanti per categoria di funzionario, e che molti laureati in giurisprudenza, avviatisi alla professione per assenza di alternative, ora sono portati a rivalutare le loro scelte. È un fenomeno fisiologico. Non crediamo sia una fuga dalla professione. Piuttosto, è la fuga da un reddito basso e da una condizione di difficoltà verso un assetto più stabile e ben remunerato. Nemmeno guardando i numeri, che per esempio riguardano il Coa di Catania, sarebbe possibile parlare di fuga dalla professione. Le iscrizioni superano numericamente le cancellazioni a domanda». A proposito di interventi mirati, Pizzino è convinto che siano tanti i fronti sui quali intervenire: «Specializzazioni, formazione di alto livello presso le nostre scuole, riforma dell’accesso, nuova cultura sulle pratiche alternative alla giurisdizione statale, sviluppo del cosiddetto diritto collaborativo, sono alcuni degli strumenti più importanti con i quali gli avvocati potrebbero recuperare prestigio professionale, mercato e redditività. Così si rilancerebbero il nostro ruolo processuale e la funzione sociale dell’avvocato, quest’ultima da diverso tempo svilita non poco».